ROMA – Il risultato era nell’aria. È stato certificato. Non tanta l’elezione di Nicola Zingaretti a nuovo leader di un Pd in cerca d’identità (e di riscossa) quanto al numero di elettori che si sono presentati –sborsando due euro- per disegnare la nuova geografia di un’Italia che non vuole arrendersi alle derive populiste ma soprattutto a una realtà virtuale che tanto cozza con la praticità della vita. Così si potrebbe leggere l’affluenza di un milione e mezzo (!) che ieri ha incoronato il governatore del Lazio come il nuovo sovrano del Pd, sconfiggendo i competitor Martina e Giachetti. La soglia che s’erano fissati i tre sfidanti era proprio quella di un milione, che se si fossero registrati numeri più bassi forse non ci sarebbe stato leader che poteva tenere: sarebbe stato probabilmente il canto del cigno di un partito che ormai è più europeista che nazionale (cosa ha del vecchio Partito comunista?, si chiedono in molti).
Dando i numeri, Nicola Zingaretti ha stracciato i suoi rivali, arrivando al 68% dei votanti. In questo modo il governatore del Lazio, che nelle prime dichiarazioni non ha dato impulso a epurazioni ma anzi ha allargato subito le braccia per un’alleanza verso gli sconfitti, è pronto a raccogliere un’eredità che la magistratura de facto nei giorni scorsi gli aveva già consegnato con i guai giudiziari in cui sono incappati i genitori dell’ex premier Matteo Renzi. E qui sorge spontanea un’altra considerazione: il Pd forse potrà contare su l’emorragia che pare stia colpendo il movimento guidato da Beppe Grillo, ormai sempre meno movimento e sempre più partito, sempre più avviluppato nei sentieri della burocrazia e del potere, elementi che erano visti da demolire, sempre più distante dalla gente e sempre più dilaniato da lotte interne ed epurazioni. A Latina esulta per il risultato raggiunto Enrico Forte, deputato regionale al secondo mandato, fedelissimo di Zingaretti, che in questo modo si ritaglierà un ruolo di protagonista anche nel futuro scacchiere parlamentare.


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