Riporto questo articolo, parzialmente adattato all’attualità, che scrissi qualche anno fa, perché lo ritengo profetico e fondamentalmente necessario. Si è instaurato a partire dall’inizio del XX secolo un difficile rapporto tra le scienze umane e le scienze sperimentali a causa della loro separazione a livello scolastico. Le prime proiettano lo studioso verso il passato essendo arroccate in un mondo fatto di “sapienza” non-empirica che dà della vita e del mondo una visione spesso pessimistica. Le seconde, per tutte le straordinarie scoperte che hanno permesso e permettono di avere continuamente delle risposte adeguate ai dubbi e alle sventure che angosciano l’umana genia, e per il conseguente ampliamento della conoscenza e della relativa diffusione di essa con l’avvento di internet e dei social network, portano lo studioso, grazie alla sua continua ricerca di risoluzione dei problemi, ad avere una visione ottimistica della realtà. È necessaria una rivoluzione, dunque, che porti ogni essere umano a osservare con razionalità non solo il macrocosmo in cui vive ma anche il microcosmo, di cui egli stesso è costituito, ma che non riesce a “vedere” perché è mancante dei necessari strumenti culturali per farlo, né a cambiare continuamente il modo di interpretare il mondo. Il potere costituito e i mezzi adottati per fare fronte ai problemi che assillano l’umanità sono in crisi, come quello determinato dall’attuale pandemia Covid-19. Nel 1991, John Brockman, presidente della Edge Foundation, scriveva e pubblicava il saggio The Emerging Third Culture, sulla base della sua esperienza lavorativa negli Stati Uniti d’America, il cui contenuto, di cui riporto l’introduzione, si può ritenere valido anche per il nostro Paese: «Negli ultimi anni il campo di gioco della vita intellettuale americana si è spostato e l’intellettuale tradizionale ha assunto un ruolo sempre più marginale. Un’istruzione in stile anni Cinquanta, basata su Freud, Marx e il modernismo, non è una qualifica sufficiente per una testa pensante del giorno d’oggi. Di fatto gli intellettuali tradizionali americani sono in un certo senso sempre più reazionari e spesso fieramente (e perversamente) ignoranti di molti significativi conseguimenti intellettuali della nostra epoca. La loro cultura, che disdegna la scienza, è spesso non empirica. Utilizza un proprio gergo e lava in casa i propri panni (più o meno sporchi). È perlopiù caratterizzata da commenti di commenti, e la spirale di commenti si dilata fino a raggiungere il punto in cui si smarrisce il mondo reale».(da John Brockman – I nuovi umanisti – Garzanti, 2005) Per questi “intellettuali tradizionali”, che si trovano in ogni parte del mondo, tutto ruota attorno alla “parola” (e non solo), che spesso è priva di fondamento. Si prospetta necessariamente, per questo, l’avvento di una “terza cultura”, in cui gli umanisti (intendendo per umanisti anche coloro che si occupano di scienza in maniera non scientifica) pensano come gli scienziati e gli scienziati come gli umanisti, perché in fondo ciò che accomuna gli uni agli altri sono i sentimenti che esprimono e la passione che mettono nel loro lavoro: cambia il substrato di ricerca, ma ciò che opera è sempre e soltanto l’uomo con la sua cultura e la sua passione. Si propone, per questo, un nuovo Umanesimo che impedisca all’umanità di precipitare in un nuovo Medio evo. “La terza cultura”, non evidenzia, dunque, tra la cultura umanistica e quella scientifica alcuna separazione, che, invece, ha creato e continua a creare dei compartimenti stagni “culturali” dannosi, perché questi costituiscono un freno allo sviluppo della conoscenza a livello individuale e alla risoluzione dei problemi collettivi. Chiediamoci, allora, perché oggi non si riesce ad affrontare e risolvere i problemi che assillano l’umanità cosiddetta progredita come quello sorto con la pandemia Covid-19? Il fatto che – a proposito della Covi-19 – ci siano opinioni diverse tra gli addetti ai lavori è significativo perché queste opinioni dovrebbero essere messe a confronto e analizzate razionalmente per trovare la soluzione al problema che non è semplice. Se a ciò si aggiunge il fatto che nello stesso ambito culturale, anche ristretto, ci sono ulteriori compartimentazioni, si capisce che la situazione si complica all’ennesima potenza.
La scienza, che è frutto del pensiero dialettico ( il metodo scientifico fu interrotto nel III secolo a.C. dopo la morte di Alessandro Magno), ha ripreso il suo cammino nel XVII secolo, dopo un letargo di circa duemila anni, non solo per merito di Galileo Galilei e del razionalismo cartesiano ma anche per il ripristino della filosofia epicurea, fautrice della libertà di pensiero. Filosofia questa che si impose prepotentemente sulla filosofia aristotelica che, non per colpa di Aristotele, invece era stata inibitrice del pensiero scientifico, la cui evoluzione si manifestò in maniera esponenziale nell’arco di tre secoli. Tuttavia, di questa evoluzione, e di tutto ciò che è ad essa connesso, la maggioranza della gente non ne sa niente. Penso, infatti, che uno dei mali peggiori dell’allontanamento della gente dal pensare in modo scientifico sia stato l’uso didattico generalizzato del metodo dogmatico in tutti gli ambiti culturali, ovvero la messa in atto di un’istruzione scolastica e di un’informazione martellante, spacciata per cultura, di stampo catechetico che insegna all’individuo ad obbedire, a eseguire pedissequamente ciò che gli viene comandato, ad arrendersi dinanzi ad ogni ostacolo impedendone, sin dai primi anni di vita, di pensare in modo autonomo e creativo, cioè di usare quello che gli antichi greci chiamavano logos! Il dogmatismo porta l’individuo, di fatto, ad acquisire, sin dalla tenera età, insegnamenti e precetti che gli vengono “imposti” come verità assolute, indiscutibili, inoppugnabili. Ciò lo condiziona e gli chiude la mente rispetto all’indagine di nuove frontiere speculative, a causa della categorizzazione del lavoro dove egli è costretto a “ripetere” (così come faceva a scuola) per tutta la sua vita, ciò che gli è stato detto di eseguire. Conseguentemente si crea una voragine tra il progresso scientifico e il suo livello di conoscenza, tra ciò che è e ciò che egli riesce a comprendere. “Ripetere” non significa “creare” cose nuove, ma vuol dire produrre cose con stampo predeterminato e inibire l’ingegnosità.
E allora l’individuo trovandosi con un bagaglio povero culturalmente, nel senso esplicitato prima, trasporta la risoluzione dei suoi problemi nel regno dell’astrazione metafisica, assolutamente estraneo alla Scienza.
Francesco Giuliano
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