IPERREALISMO
L’artista, se vuole essere del suo tempo, non si può arrestare alla realtà semplicemente, ma per mezzo di questa deve esprimere delle idee.
Giuseppe Pellizza da Volpedo
L’Iperrealismo, corrente artistica sviluppatasi nella seconda metà degli anni Sessanta del XX secolo negli Stati Uniti, in particolare in California e a New York, e in Inghilterra, è stata caratterizzata da una riproduzione di oggetti e persone, in apparenza, meccanicamente imitativa della realtà e da un verismo nitido e impersonale.
Il termine iperrealismo, che ebbe immediata fortuna e larga circolazione internazionale, è stato utilizzato in modo generico per indicare una tendenza figurativa contrassegnata da un realismo estremo, significato dal prefisso iper.
Nel 1972 il critico tedesco Udo Kultermann ha coniato il termine hiperrealisme per raggruppare in un’unica denominazione le correnti americane già orientate alla rappresentazione allusiva della realtà.
Infatti il critico italiano d’arte Gillo Dorfles ha scritto: «In realtà si tratta di una tendenza tutt’altro che unitaria, anche perché ha permesso il coagularsi in tentativi da sempre serpeggianti in molti paesi e che si riallacciano al vieto principio di un’arte illusionistica e mimetica per eccellenza. Ed è questa la ragione per cui tanti artisti accademici, quanto neorealisti, frustrati, naifs, che hanno perduto l’ingenuità, e finalmente ex surrealisti ravveduti, hanno finito per aderire a questa tendenza».
I rappresentanti di questa corrente si sono ispirati a temi della vita cittadina quotidiana, rappresentandone le scene come viste attraverso una lente di ingrandimento ed esasperandone, a volte, in modo caricaturale gli aspetti.
I pittori iperrealisti americani, riallacciandosi alle locali esperienze realistiche dei primi decenni del Novecento, hanno rivolto la loro attenzione e interesse ad aspetti “banali” della vita di ogni giorno, ma parallelamente alle preferenze della pop art, hanno ampliato il loro sguardo alle proposte della pubblicità e alle diverse sollecitazioni provenienti dalla società consumistica: interni di supermercati, rottami di automobili demolite, stazioni di servizio, drive in: immagini che lo spettatore può immediatamente riconoscere come luoghi e situazioni familiari.
Le opere iperrealiste in pittura sono state tele dipinte sulla base di fotografie, e in scultura sono state statue modellate su calchi di persone reali. I pittori si sono serviti di grandi immagini fotografiche, delle quali hanno scelto una parte che hanno riprodotto con maniacale precisione in ogni dettaglio senza alcuna partecipazione emotiva, con atteggiamento freddo e distaccato. L’unica loro aspirazione è sembrata quella di stabilire un’identità tra oggetto e immagine rappresentata.
Numerosi sono stati gli artisti iperrealisti che hanno aderito a questo movimento tra i quali: Chuck Close, Malcom Morley, Richard Estes, John Salt, Robert Cottingham, Don Eddy, Ralph Goings, Thomas Blackwell, David Parrish. Duane Hanson e Jhon De Andrea
Ogni artista, che ha condiviso con diversa partecipazione l’Iperrealismo, ha prediletto un tema dominante e caratteristico nella palese aspirazione a reperire una individuale cifra iconografica per distinguersi dagli altri: architetture urbane (Richard Estes), insegne luminose (Robert Cottingham), automobili rottamate (Don Eddy, Ralph Goings, John Salt), motociclette (Thomas Blackwell, David Parrish), ritratti anonimi (Chuck Close); nella scultura americani medi (Duanne Hanson) e corpi nudi (John De Andrea).
L’Iperrealismo ha avuto marginali sviluppi anche in Europa, in particolar modo in Germania e in Francia, rimanendo un fenomeno artistico fondamentalmente nordamericano. In ogni caso, intorno al 1980, la spinta innovativa e provocatoria del movimento iperrealista si era già conclusa, dimostrando come l’arte figurativa nelle sue diverse avanguardie ha partecipato all’ansia di scoperta, alla sete di novità che ha pervaso il secolo scorso e pervade il nostro tempo, in cui l’uomo scopre di vivere in un avanzato mondo scientifico e tecnologico.
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