“Nonostante questo però, pare che ogni tanto nelle notti d’estate, quando c’è la luna piena, il mare calmo, e il fascio magico di luce argentea lunare si distende placido dal largo di Torre Astura fino all’onde murmuglianti sulla riva sotto la duna all’altezza quasi della Foce del Duca del lago di Fogliano [….] pare che di notte nel silenzio generale,con giusto qualche raro crìììììì….di grillo……si senta all’improvviso l’inconfondibile: <Plò-plò-plò-plotp!> d’un elicottero che dall’alto del cielo stellato plana sulla luna” (pg.482). LA STRADA DEL MARE di Antonio Pennacchi non è soltanto una memoria storica ma, soprattutto, un libro del sentimento del passato, precisamente, di un passato-presente. L’ulteriore prova di un autore che ha ri-trovato il suo autore cioè se stesso (un nuovo romanzo). Pennacchi, infatti, è uno straordinario personaggio che, al contrario di quello pirandelliano, è di per sé un autore come tale guida i lettori sulla “strada del mare” sul filo di una nostalgia tutt’altro che retorica o melensa. Una nostalgia che non è quella d’un tempo bensì “nostalgia acuta, infinita di quel che ho”(J.R.Jimenéz): nostalgia del presente nel senso che devi dare a essa i colori e l’aspetto dell’oggi e del domani, senza rimpianti. Un’altra prova d’autore, un romanzo intrigante, dal fascino in-discreto di una conversazione continuamente interrotta da pause narrative calcolate e cadenzate in virtù di una scrittura fluida, a-ritmica, quel che in musica si dice “canone inverso. Una scrittura comunque visiva e a un tempo visionaria benché controllata da una bella vena neorealistica che ti accompagna e guida “sulla strada del mare”. Sulle note di un vissuto passato-presente emozionante ed edificante, un po’ quel che accade con le canzoni d’autore o più popolari che, volente o no, ti coinvolgono sia sentimentalmente sia sotto l’aspetto esperienziale. Vi si avverte un certo clima alla “Via col vento”, forse perché Littoria-Latina potrebbe ricordare l’attaccamento alla terra della celebre Rossella il cui verdetto finale (del romanzo) -“Ci penserò domani, a Tara. Oggi non me la sento. Domani, domani troverò il modo di farlo tornare. Dopo tutto, domani è un altro giorno”- potrebbe riverberarsi nella epigrafica chiusa del romanzo di Pennacchi: “Adesso basta però. Riposino tutti in pace -buoni e meno buoni- amen”. Sì, un romanzo accarezzato da un vento leggero che ci sospinge ai bordi di ricordi lontani che ci assalgono d’improvviso obbligandoci a dare l’assenso: aver compreso che il passato se lo lasci stare non rimane passato ma rischia di tramutarsi in fossile. “…Per lei i morti non se ne andavano mai. Restavano a lungo in giro, perché nessuna forma di vita -a questo mondo- sarebbe nata per caso o accidente, ma è sempre stata la sua specifica anima ad avere a un certo punto avuto voglia di nascere, per poter giocare alla realtà:” <Fame ‘ndare a védere anca mi>.Quelle all’inizio erano tutte particelle della Luce di Dio -<L’àneme nol xè che i so tocheti>- parti del Tutto, cellule con la Sua stessa impronta, calate nella materia”. (ibidem,pg.156). Leggendo viene in mente Tenco, “la vita è come un giorno/ se ne va / se ne va….”. “Via col vento”, appunto, un romanzo e un film che hanno fatto epoca non fosse altro che, osservo pedissequamente, per il titolo di per sè tutto un programma. Come può esserlo “La strada del mare”, eventualmente, un altro film avvincente e popolare. Il cui titolo e trama, peraltro, rievocano “La strada lunga un anno” di G.De Santis, la vicenda del laborioso lavoro della costruzione di una strada. (Gmaul
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