LATINA- Finalmente un primo Natale contrassegnato da una vera commedia all’italiana, una “commedia umana” che ha surclassato,per qualità e incassi al botteghino,le cialtronate o pagliacciate dei cosiddetti film-panettone, quelli sì oppio del popolo! Ficarra & Picone con Checco Zalone sembrano aver voluto riesumare la commedia d’autore sul filo della satira,dell’umorismo nero tinto di rosa, strizzando l’occhio all’attualità senza scadere nella retorica o nel didascalico, specie riguardo al drammatico problema dell’emigrazione: il filo rosso che sottende “Il primo Natale”, più esplicito in “Tolo Tolo”, proposto con apprezzabile senso critico. Due spaccati di un’umanità alle corde,costretta a fare i conti con una disarmante disumanità, rappresentati con intelligenza e ironia. Con un senso del comico che ti induce a coniugare la risata con la riflessione: a riflettere sulla commedia umana, su un’umanità tra inferno e purgatorio con la pallida speranza di un paradiso. Commedia degli equivoci o degli errori “Il primo Natale”, bene orchestrato e ottimamente interpretato, idealmente ispirato alla commedia aristofanesca (Aristofane,IV a.C.) e alla commedia dell’arte tra travestimenti,scambio di persona, lazzi e capitomboli,paradossali accidenti e incidenti. Peraltro, le vicende del film autorizzano a supporre il comico nell’accezione originaria del termine: in greco kòmos = villaggio ossia ambiente semplice, quindi, popolare, il verbo correlativo kòmizein= andare di villaggio in villaggio(katà kòmas) che significa anche “fare baldoria”: nel film le dramatis personae (gli attori che agiscono) vagano da un luogo all’altro,senza posa,sballottati in lungo e in largo in un viaggio tra passato e presente presunti, travolti increduli e frastornati in una sarabanda di paradossali baldorie: una sorta di comici (Commedia dell’arte) che vogliono rappresentare la storia di Gesù ossia il presepe. Non mancano i toni sarcastici o irriverenti, anche dissacranti (come in Aristofane) nei confronti del Padreterno,la Madonna e i santi con battute fulminanti e spiazzanti, miscelate tra il verisimile e l’inverosimile, la favola e la realtà, l’inversione e con-fusione temporale (Betlemme, Roma, un’Italia stracciona e stracciata), la trasfusione dei ruoli: la giovane puerpera col bambinello alias Maria Vergine alla quale il marito chiede insistentemente chi diavolo sia quel Giuseppe di cui si dice; la statuetta del Bambin Gesù, dapprima trafugata, poi interscambiata a più riprese con un neonato in carne e ossa. Insomma, non semplici boutades ma situazioni e battute d’autentica commedia. Non mancano il grottesco o l’osceno della violenza e dell’abuso del potere cui l’Erode di Massimo Popolizio conferisce una truculenta,corposa comicità: un pezzo da antologia. Grande attore, reduce dalla recente lettura interpretativa dei Sonetti di G.G.Belli (teatro Argentina Roma), il più classico dei poeti seriamente comici,irriverente e graffiante, a suo modo blasfemo: per una felice e casuale coincidenza (Popolizio) idealmente consonante o inversamente proporzionale al climax e ai personaggi del film. Infatti anche quella del Belli è una grande Commedia umana,altra da quella dantesca (o di Balzac) ma ugualmente e amaramente “istruttiva”. Come può esserlo quella dei due film in questione, specchio dell’avvilente degrado sociale in cui versiamo e,al tempo stesso, della “filosofia” con cui la povera gente,suo malgrado, lo affronta: sorridendo o ridendo per non piangere.(gmaul)
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