Sul settimanale Affari&finanza, allegato a “la Repubblica” di lunedì 7 ottobre 2019, Marco Ruffolo ricordava, in un interessante articolo, che oggi in Italia ci sono 1,2 milioni di posti di lavoro per i quali le imprese, che li hanno messi sul mercato, non trovano candidati. Questo accade, precisa Ruffolo, “soprattutto al nord dove restano scoperti 84 posti di lavoro ogni 100 disoccupati. Cifra che si dimezza al centro : 34 su 100, e si riduce a 18 su 100 nelle regioni del mezzogiorno…”
Torno sulla questione perché non so se qualcuno abbia già esaminato il tema o se da qualche parte, dopo quasi un anno, il problema sia stato affrontato. La questione infatti assume oggi maggiore rilevanza di fronte alla emergenza causata dall’epidemia e dalla parallela crisi produttiva ed occupazionale.
E’ del tutto ovvio ritenere che la causa di un tale paradosso ( posti di lavoro scoperti e disoccupazione di massa ) risieda nel mancato rapporto tra processo di formazione professionale ed il mercato del lavoro. nonché nella inadeguatezza delle strutture scolastiche, pubbliche e private.
Tutto ciò è vero ma – non appaia ben altruismo – credo che vi siano cause più profonde, di natura strutturale e culturale.
Dal rapporto Censis, come riportato da Angela Barbieri su IL TEMPO del 7 dicembre dello scorso anno ” Il nodo disoccupazione per il 44% degli italiani dovrebbe essere al centro dell’agenda politica, molto più di altre questioni, dall’ immigrazione alla criminalità, alle pensioni. Non si comprende la ragione che impedisce alle forze politiche. al Parlamento, al Governo ed all’opposizione di affrontare seriamente il problema.
La soluzione è a monte. Come più volte sottolineato da tante parti, occorrerebbe dotare nuovamente di senso la politica – una dimensione che sarebbe un tragico errore considerare esaurita – ricostruendo uno strumento ( il partito ) capace di produrre un vero progetto politico per rinnovare il Paese e realizzare un nuovo modello di sviluppo. Il cambio del paradigma produttivo indotto dalla rivoluzione digitale, unitamente al diffondersi del lavoro da remoto ed all’esigenza di uno sviluppo compatibile con la dell’ambiente, stanno già cambiando il modo di produrre e di lavorare ma senza alcuna programmazione ed ogni possibile raccordo con l’insieme dell’apparato produttivo e dell’assetto generale della società.
Purtroppo, di fronte al fatto che, da una parte si continui a lavorare attorno alle emergenze e dall’altra a lavorare – irresponsabilmente – per le elezioni anticipate, non vedo all’orizzonte una tale prospettiva. Tuttavia alcuni aspetti potrebbero essere rapidamente affrontati.
Promuovere una rapida e corposa crescita di salari e stipendi – attualmente tra i più bassi a livello dei paesi industrializzati – a partire da quelli del mondo della scuola e del manifatturiero (scelta necessaria, tra l’altro, per rilanciare la domanda interna, dare un contributo reale per lo sviluppo del Paese e garantire la mobilità territoriale della forza lavoro). La prima occasione potrebbe essere rappresentata dal rapido rinnovo dei tanti contratti di lavoro, da tempo scaduti.
Avviare un processo di ricomposizione unitaria e multiforme del mondo del lavoro nel quadro di un processo storico reale , ricordando che – come autorevolmente sostenuto dal prof. Alain Badiou, professore all’école normale supérieure di Parigi – la divisione del lavoro con le separazioni che comporta: esecutivo, gestionale, manuale, intellettuale e quant’altro non è – da alcun punto di vista – una necessità assoluta per organizzare economia e società. In tal modo sarebbe anche più evidente la necessità di dare vita al sistema unico e generale della cassa integrazione.
Affrontare il nodo della attuale insopportabile disuguaglianza; in termini di reddito, consumi, assistenza sanitaria, ‘istruzione e – più in generale – nella speranza di vita. E’ urgente. Non appaia inutile ricordare la durissima denuncia di Papa Benedetto XVI contenuta nella sua enciclica “Caritas in Veritate “di alcuni anni or sono, la sollecitazione di Papa Francesco avanzata nell’udienza generale di questi giorni e l’intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini.
Ridare spazio e priorità alle attività produttive, nel quadro di una nuova politica economica, ricordando che – come sostenuto da Thomas Piketty nel suo libro ” Il capitale nel XXI secolo”- quando il tasso di rendimento del capitale supera regolarmente il tasso di crescita del prodotto e del reddito il capitalismo produce disuguaglianze insostenibili che rimettono in discussione i valori meritocratici sui quali si reggono le nostre società democratiche.
Lelio Grassucci ( ex Parlamentare )
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