LIVORNO – Lo sguardo di Matteo è limpido mentre ci accoglie nella sua camera davanti al computer. Dalla finestre della sua bella e ben curata casa in via degli Ammazzatoi sorridono i tetti della Venezia con in mezzo la cupola della Chiesa di Santa Caterina. Il resto della casa, arredata con mobili di legno antichi e tappeti, è piena di libri. A farci compagnia c’è un gatto che si stiracchia sul letto. L’atterraggio di Matteo Giunti, 51 anni, ex primo ufficiale e pilota dell’Alitatlia, nel mondo della cultura livornese, è stato strepitoso e da applausi, come da tradizione. Già stimatissimo esperto a livello internazionale dell’antica Livorno delle Nazioni straniere e divenuto da qualche anno a questa parte insostituibile come genealogista e studioso delle famiglie livornesi, ha 51 anni ed è un discendente della blasonata famiglia di imprenditori di Agostino Kotzian, trasferitosi a Livorno nel 1814 dall’Austria. Ai Kotzian, appartenenti alla nazione olandese-alamanna, si deve la rappresentanza delle minoranze cristiane protestanti all’epoca del Granducato, la fondazione della Camera di Commercio e la costruzione della stazione di San Marco, la Leopolda. “Il mio interesse per la cultura rispecchia una passione personale innanzitutto- attacca Matteo – mi sono sempre interessati i cimiteri storici di Livorno e le storie delle antiche famiglie inglesi e olandesi, ed è davvero incredibile come di questa parte della storia della città non si sapesse nulla. Questo è dovuto a delle carenze che a mio parere sono mostruose”. Una figura di rilievo Matteo Giunti, uno spessore che va a colmare un noto gap che purtroppo appartiene alla nostra città, il portare rispetto alla sua identità e alla sua storia. “Sono stati i racconti di nonna Rita, che mi parlavano di una Livorno che non avevo sentito mai, a convincermi che occuparmi di queste cose dovesse diventare per me come una missione. Con lo studio dei cimiteri abbandonati e il dispiacere per la storia di tante famiglie e tante persone cancellata, sono passato in seguito ad essere un genealogista professionista. Non occorre ma tante volte è bene dirlo, perché se dalle passioni ci si guadagna è ancora meglio”.
Sorride pacato Matteo ma dietro alla calma rilassata si leggono anni di lotte contro i mulini a vento. Primo campo di battaglia il Cimitero degli Inglesi di via Verdi, il cimitero acattolico più antico del Mediterraneo che giace chiuso al pubblico nonostante sia uno “scrigno” di tesori artistici, storici e culturali, ma anche la chiesa degli Olandesi, la storia delle Congregazioni Religiose, la chiesa degli Armeni in via della Madonna, la stazione Leopolda, la storia dell’antica Sinagoga e tanti altri “tesori” di Livorno che purtroppo restano ancora perduti nonostante i numerosi sforzi per sconfiggere una lunga serie di muri di gomma e promesse non mantenute. Come presidente dell’Associazione Culturale Livorno delle Nazioni per il Cimitero degli Inglesi di via Verdi Matteo ha dato l’anima: bonifica dei terreni, studio e censimento di tutte le sepolture e delle sculture attraverso l’Accademia delle Belle Arti di Carrara e l’Università di Pisa, coinvolgimento ai massimi livelli della stampa cittadina. Ma il cancello rimane chiuso e le chiavi in mano al Consolato Inglese che ne ha la competenza e la proprietà territoriale: “Il fatto che ancora questo splendido luogo storico di Livorno non sia aperto al pubblico è il sintomo di una diffusa mediocrità e di una chiusura mentale. Nessuno se ne occupa perché mancano le competenze”.
Livorno e la sua identità, problemi purtroppo noti:“È il livello accademico che manca nella nostra città, l’università di Pisa potrebbe darci una mano ma credo sia molto difficile”. Però qualcosa sta cambiando, l’amministrazione Salvetti ha dichiarato più volte di voler ricodificare il “brand Livorno” anche in base alla sua gloriosa e ricca storia come porto del Granducato dei Medici, città aperta, multiculturale e mercantile, grazie alle Leggi Livornine e alle Nazioni straniere. “I tentativi sono ancora troppo timidi, ma gli obiettivi sono giusti. Conosco bene e ripongo fiducia nel nostro assessore alla cultura Simone Lenzi e apprezzo anche il lavoro del nuovo direttore scientifico del Museo della Città Paolo Cova. Il primo allestimento del Museo putroppo, se mi posso permettere, era un disastro, con un sacco di reperti archeologici di epoca romana, di cui tutta Italia è già piena. A chi interessava? Adesso, grazie all’entrata nel circuito dei Musei Regionali le cose possono cambiare, si può pensare ad un allestimento più orientato verso la divulgazione della nostra storia”. Il Cimitero degli Inglesi e gli altri cimiteri abbandonati delle altre Congregazioni, ma anche le ville di Montenero anch’esse abbandonate insieme alle loro storie e tanti altri beni architettonici. Per ognuno di questi “tesori” una battaglia come presidente di Livorno delle Nazioni . Come genealogista professionista a Matteo Giunti sono state assegnate molte vere e proprie scoperte, più o meno sensazionali, come gli studi sul ramo materno della famiglia di Amedeo Modigliani, i Garsin, la correzione della data di nascita di Giovanni Marradi, oppure la scoperta tutt’altro che prevedibile che la nonna di Cavour è sepolta a Livorno. Tutte ricerche, soprattutto sulle antiche famiglie straniere, che comportano studi accurati in archivio e molti all’estero. Una figura, quella del genealogista che in quaso tutti gli altri paesi europei, è catalogata come una figura professionale, con tanto di tariffario: “In Italia purtroppo non siamo riconosciuti come in Francia ad esempio. Credo sia un fatto che riguarda il metodo di studio, dovrebbe essere lo storico che si appoggia al genealogista e non il contrario”. Matteo è stato “responsabile” più volte di alcune correzioni pure su Wikipedia, ma il suo atteggiamento non è vanitoso. Non avrebbe mai pensato in gioventù di diventare uno dei massimi esperti della storia di Livorno, intervistato in merito anche dalla Rai, nell’occasione della mostra del Centenario di Modigliani e autore di un documentario per Rai Storia sulla Livorno delle Nazioni. A 20 anni infatti Matteo Giunti era in Florida, in una cittadina a pochi chilometri da Cape Canaveral, dove ha iniziato a studiare per diventare pilota. Poi un corso autofinanziato per entrare in Alitalia ad Alghero e finalmente il successo, al comando dell’aeromobile MD80, il famoso “sigarone” dell’Alitalia, con 180 persone a bordo e voli in tutta Europa e nord Africa. Base di stanza a Roma, dove si trasferì nel 2000, il rifiuto del trasferimento a Venezia e i primi litigi con l’azienda, l’avvento delle compagnie low cost e i primi sentori della crisi che investi la nostra compagnia di bandiera nel 2010, fino alle dimissioni prima che fosse troppo tardi, “per non perdere la faccia”.
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