ROMA – Con l’ordinanza n.995, depositata il 31 gennaio 2024, la settima sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 per contrasto con gli artt. 3, 41 e 117, primo comma, Cost., nell’ambito del giudizio di appello n.1804/2023 di r.g. promosso dall’Associazione Nazionale Tributaristi Lapet.
Il Collegio giudicante ha ritenuto la questione rilevante per la definizione del giudizio e non manifestamente infondata (art. 23 della legge n. 87/53) ed ha pertanto sospeso il giudizio di appello e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per la decisione della questione di legittimità della norma.
Il giudizio di appello è stato proposto da Lapet per impugnare la sentenza n.1192/2022 del Tribunale amministrativo per la Puglia che aveva respinto il ricorso promosso per ottenere l’annullamento di un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che negava ad una tributarista la facoltà di rilasciare il visto di conformità sulla dichiarazioni dei redditi e Iva dalla stessa inviate all’amministrazione finanziaria ( c.d. “visto leggero”), perchè non iscritta all’albo dei commercialisti, dei ragionieri e dei consulenti del lavoro.
L’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241/97, per individuare i professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità e la certificazione tributaria ( cd “visto pesante”) richiama il testo del Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998 n.322 che riserva l’attività certificatoria ai soli professionisti iscritti agli Ordini territoriali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ( i “ragionieri”) ed agli iscritti nell’albo dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro, con esclusione degli iscritti negli elenchi delle professioni non regolamentate, disciplinate dalla legge 14 gennaio 2013 n. 4.
Nella sostanza, per effetto dell’articolato reticolo normativo, a legislazione vivente ed alla stregua del diritto vivente, i tributaristi e più in generale i consulenti fiscali e tributari (tutti professionisti non iscritti agli albi ed appartenenti al novero delle professioni non organizzate ex art.1 della legge 4/2013), non possono rilasciare né il visto pesante né quello leggero, nonostante siano autorizzati per legge al trattamento dei dati contabili ed alla loro trasmissione telematica.
Accade così che i tributaristi non possono assicurare ai loro clienti una completa assistenza professionale e sono costretti a subire passivamente lo sviamento della clientela verso i professionisti ordinistici, autorizzati al rilascio del visto, che è necessario per operare la compensazione dei crediti, relativi a IVA, imposte dirette, IRAP e le ritenute di importo superiore a 5.000 euro annui, per la presentazione delle istanze di rimborsi dei crediti IVA, annuale e trimestrale, superiori a 30.000 euro e per la presentazione delle dichiarazioni modello 730.
Lapet aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art.35 del d.lgs. n.241/97 per violazione del principio di ragionevolezza e non discriminazione (art. 3 Cost) e del diritto di libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost) ed aveva chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea ex art. 267 del Trattato FUE perché fossero accertate le rilevanti violazioni del diritto dell’Unione europea.
Il Consiglio di Stato ha condiviso tutti i rilievi formulati.
Nell’ordinanza sono dettagliatamente esposti i profili di contrasto dell’art. 35 del decreto n. 241 con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, nonché con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla rilevante violazione del diritto primario Eurounitario (art. 56 del trattato FUE) e del diritto derivato (art. 16 della Direttiva 123/2006 – la famigerata “ Bolkestein”) e più in generale la violazione dei principi di massima concorrenza, non discriminazione e proporzionalità che costituiscono i capisaldi del diritto dell’Unione ed orientano la laboriosa opera di interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione.
Il Consiglio di Stato sospetta di incostituzionalità non solo la riserva per il rilascio del visto leggero (visto di conformità) ma anche quella prevista per il visto pesante (i.e. l’attestato di conformità o attestazione tributaria), sicché la Consulta sarà chiamata a valutare la legittimità di entrambe le riserve.
Appaiono illuminati, tra i tanti, due segmenti della complessa motivazione dell’ordinanza n.995 che di seguito si riportano :” va sul punto ricordato come il sistema degli ordinamenti professionali di cui all’art. 33, comma 5, della Costituzione deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarità, avendo la funzione di tutelare non l’interesse corporativo di una categoria professionale a mantenere sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica, ma quello degli interessi di una società che si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità (cfr., Corte Cost. n. 345 del 1995 e n. 418 del 1996)”; e poi “ nella misura in cui per quanto finora esposto non appaiono apprezzabili effettive ragioni per impedire a professionisti abilitati all’invio delle dichiarazioni dei redditi all’amministrazione finanziaria l’ulteriore attività consistente nel rilasciare a favore di quest’ultima l’attestazione necessaria a semplificarne l’attività di controllo, si profila una discriminazione in danno della categoria professionale pregiudizievole per il loro diritto di matrice sovranazionale alla libera prestazione dei loro servizi, non necessaria perché sfornita di un sottostante motivo imperativo di interesse generale e sproporzionata perché eccedente gli obiettivi di tutela dell’interesse fiscale dello Stato”.
Ora si attende il giudizio della Corte Costituzionale che dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno.
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