LATINA- Credo di sapere abbastanza del nostro “gran teatro” a partire dalla fastosa inaugurazione e dalla non appropriata denominazione voluta dall’allora sindaco Finestra e consiglio comunale,con la mia opposizione -proponevo il nome di una personalità artistica o culturale del territorio,ad esempio Cambellotti,utilizzato in seguito per altro sito- ma D’Annunzio,si obiettò, “è uno dei nostri” ,cosa da ridere e piangere! Non parliamo del cosiddetto “Cafaro”, altro equivoco onomastico, imposto dalle solite accozzaglie localistiche o “parentali”. Le citazioni solo per segnalare che il teatro cittadino non è nato sotto una buona stella,neppure quella della Fondazione affondata nella confusione o gioco delle parti firmata,dopo tanto tergiversare, da Barbareschi e Costanzo,eletti a direttori artistici pro brevi tempore con risultati nulli e nullificanti. Prima di questi si invocò a gran voce (anche dallo scrivente) la necessità di un direttore artistico che,volendo e pensando, si sarebbe potuto individuare anche in loco. Proposi il nome di Massimiliano Farau, peraltro associato ai sunnominati nella foto di gruppo (quotidiani) non si comprese a qual fine essendo stato ignobilmente azzerato (così scrivevo su una pagina locale). Per farla breve, col passare degli anni, il teatro fu in-gestito, mi permetto dire, alla cialtrona, con delle stagioni abborracciate se pure con alcune punte di diamante -un bel concerto con la Raina Kabaivanska, mi pare anche la Greco o Aznavour,non ricordo, altri illustri nomi-, comunque, “stelle cadenti” su un palcoscenico già allora “decaduto”. Oggi, considerate le pessime sorti e regressive di un tal monumento – “funebre” per la fine cui è stato destinato- molti si chiederanno la/le cause di tale sorte e disfacimento. Niente altro che l’incuria, l’approssimazione, l’ignoranza e indifferenza per la cosa culturale e artistica in genere. Soprattutto, l’insensibilità e sordità civica e civile: una città-comunità priva del teatro non può dirsi tale cioè “polis” come pensavano gli antichi greci poiché il teatro è uno dei fondamentali aspetti “politici” di ogni comunità civile, un polmone culturale al pari del verde pubblico. Non avendo i governanti o maggiorenti della città la percezione di ciò, hanno immaginato che la cosa teatrale fosse una cosa,appunto,un soprammobile,dunque, una semplice rappresentazione a soggetto o “commedia all’improvviso” (niente a che vedere con quella dell’arte) incentrata su accadimenti occasionali, eventi. Un piatto domenicale per spettatori di bocca buona o,comunque. rassegnati se pure inconsapevolmente a essere spettatori e protagonisti di un “teatro dell’assurdo” che,nello specifico del genere, significa la negazione e implicita denuncia di una malintesa normalità: ad “aspettare Godot” che,nella pièce di Beckett, non arriverà mai. Involontario regista di questo paradossale teatro è il neo assessore Silvio Di Francia trovatosi di bel mezzo in una situazione non solo assurda ma grottesca, nelle vesti di un Godot che,atteso, non potrà mai arrivare.Costretto a fare di necessità virtù: assumere il ruolo del “capocomico” di una recita “a soggetto” cioè improvvisata in un teatro di fortuna. Ne siamo dispiaciuti per lui,non io (gmaul)
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