Impossibile dimenticare quella fredda mattina del 30 marzo 1995 quando il corpo di don Cesare Boschin parroco di Borgo Montello – operosa frazione agricola alle porte di Latina – venne ritrovato incaprettato (con le mani e i piedi legati e una corda intorno al collo) dalla signora Rosato – la perpetua – nella sua camera da letto. In quel periodo curavo il servizio giornalisto per una tv privata di Pontinia. Fui il primo ad entrare nella stanza dell’orrore insieme a un caro amico che mi aveva avvertito del caso. Vidi il corpo del prelato ricoperto da lividi, la mascella e diverse ossa fratturate, la bocca incerottata. L’autopsia stabilì la morte per soffocamento provocato dalla dentiera ingoiata dal parroco. Gli assassini portarono via le due agende in cui don Cesare era solito annotare tutto, lasciando una croce in oro, il portafoglio del sacerdote che conteneva ottocentomila lire. Altri cinque milioni nascosti in un armadio furono rinvenuti due mesi dopo e donati alle missioni di Madre teresa di Calcutta, alle quali era molto legato. Arrivarono il comandante provinciale dei Carabinieri colonnello Basso, il vescovo monsignor Pecile, qualche parrocchiano in lacrime. Le indagini furono inizialmente rivolte negli ambienti della tossicodipendenza, si conclusero quattro mesi dopo con l’archiviazione del caso. In quei i giorni suseguenti l’infernale delitto si respirava nel borgo un clima difficile da decifrare, in pochi si esprimevano sull’accaduto. Qualcuno, tra i possibili sospettati, sparì per per qualche giorno. Al funerale tenutosi al campo sportivo del borgo tanti sacedoti presenti, commozione tra i fedelissimi e gli amici più stretti di don Cesare. Pochi i politici locali presenti, in testa al corteo funebre solo il sindaco Ajmone Finestra con fascia tricolore e il consigliere comunale Ferdinando Gardosi. Boschin – veneto – era stato un punto di riferimento cruciale per 40 anni per la vita economica, politica e sociale del Montello, oltre a svolgere l’opera pastorale che compete a un sacerdote. Il parroco era malato da tempo, molto anziano e non in grado di svogere una vita regolare, la sua esucuzione appare davvero spietata. Aveva paura di morire. Un mio amico don Ennio Cannas – deceduto nel 2014 – si recò in pellegrinaggio a Santiago di Compostela, un confratello gli domandò come mai non era venuto don Cesare. ” E’ stato ucciso” disse Cannas, pronta la risposta:” Lo scorso anno mi rivelò di avere paura, tanta paura, quasi un delitto annunciato”.
Il 29 luglio del 2009 don Luigi Ciotti chiese davanti al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la riapertura dell’inchiesta sulla morte di don Boschin. Don Ciotti si era fatto portavoce delle richieste di un gruppo di abitanti di Borgo Montello che legava la morte del loro parroco ai traffici di rifiuti tossici smaltiti illegalmente dalla camorra nella discarica dei veleni che ha provocato lutti, malattie e un disastro ambientale di larghe proporzioni. Nel 1970, quando la struttura di via Monfalcone aprì i battenti in molti erano favorevoli visto che offriva posti di lavoro, altri si fecero notare con polemiche dure che porteranno ad acuire le divisioni e i conflitti all’interno della comunità. Andando avanti nel tempo si è venuto a sapere che dopo la riapertura delle indagini la Dia di Napoli – competente al caso – ha interrogato negli ultimi anni persone che potrebbero essere utili a conoscere i motivi sulla morte di don Cesare. lo scrittore Felice Cipriani ha raccontato in un suo libro che la popolazione residente nei dintorni della discarica, per protestare contro miasmi che si erano intensificati nel tempo, aveva costituito un comitato di protesta. Si segnalavano le esalazioni malsane, emanate da sostanze organiche di decomposizione, odori agradevoli, quasi insopportabili, i camion che transitavano di notte per recarsi in discarica. Forse arrivano dal porto di Livorno.L’analisi del terreno rilevò contaminazioni. Il comitato ha subito ritorsioni per la sua lotta, anche don Cesare, il suo leader indiscusso. Una settimana prima dell’omicidio, il parroco si è recato a Roma per chiedere la fine dei traffici ad alcuni politici della disciolta DC. La sua morte sarebbe stata quindi una vendetta della camorra per stroncare la protesta dei residenti. In effetti, subito dopo l’omicidio, il comitato si sciolse e sulla discarica scese il silenzio. Un grave limite della storiografia, dopo i gravi fatti di cui trattiamo, è rimanere avulsa e disinteresata, non sa leggere quanto è accaduto, la gravità. Le modalità della morte, con l’incaprettamento tipico degli omicidi mafiosi, sarebbero secondo Libera una conferma della pista camorristica. In un’intervista il pentito di camorra Carmine Schiavone confermò che “Don Cesare è stato ucciso per questi motivi, perché aveva capito qualcosa”. Leggendo l’interessante libro di Salvatore Minieri “I Pascià” si possono comprendere molte cose. Una sola certezza: dopo 27 lunghi anni di assassino – o assassini – nessuna traccia.
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