La Scienza – parola derivante dal latino scientia a sua volta da sciens, participio presente del verbo scire, che significa “sapere” – indica un insieme di conoscenze acquisite attraverso lo studio e la ricerca utilizzando il metodo scientifico. Queste conoscenze possono essere chimiche, fisiche, biologiche, geologiche, matematiche, ecc., per mezzo delle quali lo scienziato cerca di studiare la Natura e, al tempo stesso, di modificarla. Soffermandoci, dato il vasto campo scientifico, solo su alcuni tratti della conoscenza chimica, cito il chimico statunitense Roald Hoffmann, Premio Nobel per la Chimica 1981, che nel saggio “La chimica allo specchio” (Ed. Riuniti, 2004) scrive «La scienza moderna è un’invenzione sociale dell’Europa occidentale premiata da un successo incredibile: un’impresa di grande efficienza per acquisire conoscenze di alcuni aspetti di questo mondo e per usarle al fine di trasformarlo. Al cuore della scienza c’è l’osservazione accurata della natura e la progettazione dei nostri interventi in essa. Potrebbe trattarsi di cercare la molecola che dà alla porpora di Tiro il suo colore intenso oppure modificare tale molecola per conseguire un colore porpora più brillante o un blu». Oppure, aggiungo, potrebbe trattarsi di cercare la causa della differenza di odore che caratterizza l’aglio (Allium sativum) e la cipolla (Allium cepa), ambedue appartenenti alla famiglia delle Liliaceae e molto usati in cucina. La chimica analitica ci porterebbe a scoprire che nell’aglio il suo caratteristico olezzo si deve al disolfuro di diallile, formula grezza C6H10S2, e nella cipolla proviene dal disolfuro di allilpropile, formula grezza C6H12S2. Con grande sorpresa, confrontando le due formule grezze, verremmo a scoprire che la differenza di odore è associata alla differenza di due soli atomi di idrogeno H. E per questo motivo mi piace riportare una frase del citato scienziato Roald Hoffmann: «Qualche atomo aggiunto qui, qualcuno sottratto là: ecco tutto ciò che fa la differenza tra le caratteristiche sessuali maschili e femminili, fra una molecola innocua e una letale». Se poi si facesse una ricerca storica attraverso il saggio “I bottoni di Napoleone” (Longanesi, 2006) dei due chimici, Penny Le Couteur e Jay Burreson, si farebbe la scoperta, perché non riportata nei libri di storia, di quelle sostanze (non tantissime) che hanno cambiato, sia nel bene che nel male, il corso della storia dell’uomo. Alcune di esse hanno prodotto ricchezza (le spezie, le cui molecole sono diventate note: piperina, capsaicina, zingerone), altre hanno curato malattie mortali come lo scorbuto (l’acido ascorbico o vitamina C) o sono state usate per altri rimedi (aspirina, penicilline, pillola, chinina), altre come il sale (cloruro di sodio) sono state usate per la conservazione degli alimenti, altre ancora hanno promosso la deprecabile tratta degli schiavi (per la coltivazione e la raccolta del cotone costituito per circa il 90% di cellulosa) oppure sono state strumenti di morte o di ausilio alla fatica dell’uomo come gli esplosivi (a base di nitroderivati). Si apprende, da questo saggio, che l’ignoranza chimica abbia determinato il disastro della spedizione napoleonica del 1812 in Russia, che vide in un solo colpo spazzare via quasi 600 mila soldati di cui era composta l’intera Armata francese. E ancora vi si commenta che la coltivazione dell’olivo (Olea europaea) e l’olio estratto dai suoi frutti, che il poeta greco Omero chiamava “oro liquido”, abbiano posto le basi per lo sviluppo delle antiche civiltà mediterranee, tra cui quella greca a partire dal VI secolo a.C.: l’olio d’oliva era usato per il suo apporto energetico, per l’illuminazione, per la cura della pelle e la fabbricazione di cosmetici, per l’estrazione di molte sostanze aromatiche naturali. E con la masticazione delle foglie dell’olivo, grazie al contenuto di acido salicilico – il precursore dell’aspirina – si curavano gli stati febbrili e la malaria. Ci si rende conto allora come la Scienza, in particolare la chimica, abbia contribuito gradualmente a rendere sempre più libero l’uomo dalla prepotenza patologica e dalla dittatura dell’uomo, usando una metodologia e un linguaggio universali. Ciò ha permesso agli scienziati di parlare una sola “lingua” e di mettere a confronto le loro scoperte scientifiche documentate da fatti provati grazie ad una dialettica proficua. Questo aspetto fa pensare che l’idea di Scienza sia equivalente a quella di Democrazia, anche se c’è una grande differenza tra linguaggio scientifico e linguaggio politico, che risultano antitetici: il linguaggio politico è fondato su discorsi che fanno sembrare vere le menzogne. La democrazia è una forma di governo che nasce in Grecia nel VI secolo a.C., tant’è che è una parola di origine greca (da démos. “popolo” e krátos, “potere”) che significa “potere del popolo”, ed è quel che il politico ateniese Pericle (V sec. a.C.) definiva amministrazione della cosa pubblica dalla maggioranza del popolo: controversie civili, confessionali e morali, richieste di giustizia, libertà di parola e di pensiero, libertà di riunione, legittima rivendicazione di uguaglianza, e altro, tutto fondato sul dialogo e nel rispetto delle leggi per raggiungere una sintesi di ampio consenso. La democrazia funziona così. L’unica differenza con la scienza è che in campo scientifico quando si scopre una legge naturale, questa diventa un dogma che vale sempre e per tutti, mentre le leggi democratiche sono espressione della maggioranza e quindi possono non essere condivise da tutti.
In ogni caso, tuttavia, sia l’una – la Scienza – che l’altra – la Democrazia – sono entità ideali che si concretizzano in un contesto di convenzioni, di regole, di procedimenti e di comportamenti, e dove ognuno ha il diritto alle proprie opinioni. Famosa è la frase, a tal proposito, del filosofo francese Voltaire (1694 – 1778): Detesto ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo. «Ammesso che la libertà intellettuale … abbia un significato, tale significato è che chiunque deve avere il diritto di dire o stampare ciò che ritiene vero, purché così facendo non danneggi inequivocabilmente il resto della comunità» era l’opinione dello scrittore inglese George Orwell (1902-1950) da La libertà di stampa, nella prima edizione inglese del romanzo La fattoria degli animali(1945). Quel contesto, tuttavia, va sempre accudito accuratamente come fa la madre per il proprio figlio neonato, in quanto può manifestare la sua fragilità nel momento in cui gli ordinamenti su cui si poggia vengono messi in discussione dalla minoranza nel caso in cui questa diventi maggioranza. Sempre Orwell in Fascism and Democracy (1941) scrive che «uno dei passatempi più facili al mondo è smitizzare la democrazia . … Per qualsiasi studentello sedicenne è più facile attaccare la democrazia che difenderla. … la democrazia borghese viene sempre accusata di essere neutralizzata dalla disuguaglianza economica … e che tutta la facciata della democrazia – libertà di parola e di riunione … – debba per forza crollare non appena le classi abbienti non siano più nella posizione di fare concessioni ai dipendenti». Ne consegue che è molto facile far cadere una democrazia che, in tal caso, verrebbe sostituita da un regime totalitario, dove “l’onestà intellettuale è un crimine”, e dove l’eresia, concentrato di ribellione e integrità intellettuale, viene inquisita e combattuta in tutti i modi, anche con la morte. (Il dipinto Aspasia e Pericle di Josè Garnelo y Alda)
Francesco Giuliano
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