Sbarcata la Life Support con i 47 migranti

Ci sono ancora delle polemiche da parte di Emergency per la designazione di Livorno Porto Sicuro

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LIVORNO – Oggi alle 11.30 si è concluso lo sbarco delle 47 persone soccorse dalla nave Life Support di Emergency nel Mediterraneo centrale. Il salvataggio era avvenuto mercoledì 26 giugno in acque internazionali, nella zona Sar libica. Tra le persone soccorse, anche 3 donne e 5 minori non accompagnati su un totale di 47 migranti sbarcati oggi e provenienti da Nigeria, Etiopia, Ghana, Libia, Eritrea, Bangladesh, Sud Sudan e Sudan. Questa è stata la quarta volta che alla nave Life Support viene assegnato il porto di Livorno per lo sbarco da quando ha iniziato le sue missioni in mare nel dicembre 2022. Durante la navigazione verso il porto assegnato di Livorno, fanno sapere da Emergency, la Life Support ha ricevuto diverse segnalazioni di altre barche in difficoltà ma non è stata fornita l’autorizzazione da parte dell’MRCC (Maritime Rescue Control Centre) italiano. La nave di salvataggio ha dovuto quindi procedere verso il porto di Livorno senza la possibilità di intervenire sulle segnalazioni ricevute, alcune delle quali anche molto vicine alla nave stessa con una in particolare a circa 10 miglia di distanza.

Queste sono due testimonianze raccolte da Emergency tra i migranti che sono sbarcati oggi: “Vengo dal Bangladesh, ma lì non riuscivo a sostenere la mia famiglia e quindi, essendo il più grande dei miei fratelli, sono dovuto partire, anche perché mia madre ha dei problemi di salute e servono soldi per pagarle le spese mediche – racconta M. un ragazzo di 22 anni – Sono arrivato in Libia a febbraio, sono stato portato vicino Bengasi e lì per tre mesi sono stato con altre 25 persone in una casa con due stanze e un bagno. Non potevamo uscire, non vedevamo nemmeno la luce del sole e fuori casa c’erano sempre di guardia due persone con degli AK-47. Una volta al giorno ci davano del pane e un po’ di acqua. Poi lunedì scorso ci hanno detto che dovevamo partire. Verso mezzanotte ci hanno fatti uscire e ci hanno portato in spiaggia dove c’era un gommone ad aspettarci. Non sembrava sicuro ma non avevamo scelta. Dopo qualche ora di navigazione eravamo persi in mezzo al mare, finché non abbiamo visto un aereo: dopo due ore siete arrivati voi. Io voglio raggiungere l’Europa perché spero di riuscire a trovare un lavoro che possa permettermi di mandare i soldi a casa e sostenere le cure mediche di mia madre.”
“Me ne sono andata da Lagos, in Nigeria, nel 2016 perché la mia famiglia non poteva più sostenermi – racconta L. donna di 28 anni – Sono andata prima in Niger e poi in Libia, dove ho passato 8 anni della mia vita. Pensavo che la situazione a Lagos fosse difficile, ma la vita in Libia è molto peggio. Decidere di andare lì è stata la peggior decisione della mia vita. Ho lavorato nella casa di una famiglia libica per circa due anni: mi trattavano come una schiava. Un giorno la mia padrona di casa mi ha detto di salire in macchina e mi ha portata alla stazione di polizia. Avevo un paio di mesi di arretrato sul mio stipendio, e lei non voleva pagarmi così mi ha accusata di aver rubato in casa sua e subito mi hanno arrestata: in un posto come quello, dove una persona di colore non ha diritti, è impossibile difendersi dalle accuse di un libico. Anche perché io non parlo arabo. Sono stata in prigione per quattro anni, sono uscita circa due anni fa e ho iniziato di nuovo a lavorare ma già da tempo avevo capito che non potevo stare in un posto così. Così appena ho guadagnato i soldi per provare ad attraversare il mare, l’ho fatto. Spero che in Europa ci sia un futuro per me, un futuro che non potevo avere in un paese come la Nigeria o la Libia.”


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