La politica è una parola che deriva dal greco antico politiké, che a sua volta trae origine da polis, la città stato dell’antica Grecia, sorta nell’VIII secolo a.C. e da tecne, arte/tecnica, da cui il significato di arte pertinente alla città-stato. La politica quindi è (o dovrebbe essere) un’arte che tende ad esprimere l’estetica (dal greco aistesis, sensazione), che è l’esperienza sensibile del bello e quindi del piacere, tant’è che secondo il politico ateniese Pericle (V sec. a. C.) la politica è l’arte del vivere insieme, e secondo Platone (V – IV sec. a. C.) chi fa politica deve essere in grado di esplicitare l’arte della misura, sapendo coordinare argutamente i diversi elementi costituitivi di uno Stato. Ritenendo assiomatici tali concetti ne deriva che al politico si richiedono raffinatezza, conoscenza, empatia, abilità e studio a cui si aggiunge un’azione pragmatica che possa tendere a migliorare le condizioni sociali e culturali di uno Stato. In altre parole il politico deve amare il suo popolo. E si pretendono da lui una preparazione adeguata e impegno continuo assieme al possesso di tutti quei valori, come onestà, garbo, sincerità, rispetto, dignità, morale, nobiltà d’animo, solidarietà, linguaggio verbale decoroso, ecc., necessari non solo per governare bene ma anche per dare l’esempio al popolo. Di tutto questo negli ultimi tempi è abbastanza difficile cogliere qualcuno di questi requisiti in alcuni politc(ant)i tant’è che, in seguito alle continue polemiche tra la maggioranza che governa e l’opposizione che controlla e ne contrasta gli errori, si evince che essi agiscono come nemici piuttosto che come avversari. In una repubblica democratica come quella italiana non dovrebbero esserci nemici ma soltanto avversari! L’avversario, infatti, è colui “che si oppone ad altra persona in una competizione, in una discussione, in una lite, nel gioco, in politica, ecc.”. Il nemico, invece, è quello “che nutre verso altri sentimenti di avversione, di ostilità e si comporta di conseguenza, cercandone il danno e desiderandone, e spesso anche cercando di procurarne, il male”. E fomenta odio con i comportamenti e con un linguaggio verbale violento. A tal riguardo, il filosofo Empedocle, vissuto nel V sec. a. C., nel poema Sulla natura, scrisse che l’odio separa, disgrega, allontana, uccide, contrariamente all’amore. Sarà forse questa la causa che induce l’elettore a disertare le urne nel momento delle votazioni, con la conseguenza perniciosa che gli eletti non risultano essere rappresentanti titolari della maggioranza del popolo? Ebbene, saranno stati forse i comportamenti assunti da taluni politici e politicanti che negli ultimi anni, disattendendo quei valori e canoni politici trasmessi dai nostri avi costituenti (linguaggio non violento, arte di vivere insieme, estetica pari all’esperienza sensibile del bello, arte della misura delle cose, rispetto della carta costituzionale, ecc.) e agendo in maniera populistica, hanno trasformato, l’avversario in nemico con tutte le conseguenze che ne derivano, tra cui la trasmissione dell’odio, che, secondo il vocabolario Treccani, è: sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui; o, più genericamente, sentimento di profonda ostilità e antipatia. E questo stato delle cose non ha fatto altro che fare acquisire a chi non ha scudo adeguato culturale il greve sentimento dell’odio, che si esplicita in diversi comportamenti illeciti e nocivi (famiglia patriarcale, prevaricazione dell’uomo sulla donna, ricatti, litigi, omicidi, ecc.) che abbassano il livello civile di una società trasgredendo le prerogative dell’arte del vivere insieme.
Allora, non serve alcun provvedimento didattico, come l’educazione affettiva e sessuale a scuola (l’azione educativa non ha effetti immediati ma dilatati in un tempo dalla durata indefinita e dall’esito incerto), di cui si sta parlando dopo l’omicidio truce della giovane laureanda Giulia Cecchettin, che possa risolvere questo problema in quanto l’affettività non si insegna ma si ottiene con il vivere insieme, cioè con lo stare insieme in amore o in amicizia. Basterebbe prendere visione del recentissimo film del regista Ken Loach, The Old Oak (2023), che, con la asserzione quando mangi insieme, resti insieme, esplicita e rafforza questa mia convinzione, sorta da una vita scolastica di oltre mezzo secolo prima come studente e poi come docente senza soluzione di continuità, oppure dell’altro bel film Tre piani (2021) di Nanni Moretti. Lo stare insieme mi fa ritornare alla mente non solo il concetto di legame chimico che avviene in seguito all’istaurarsi di una relazione di adiacenza tra due atomi, ma anche il Simposio di Platone, il dialogo connesso al banchetto filosofico in cui si mangia, si beve e si discute insieme (sul tema dell’amore), da cui emerge, come avviene fisicamente per risonanza tra due pendoli oscillanti sulla stessa parete che tendono a sintonizzarsi assumendo lo stesso ritmo, quella capacità sublime di ogni individuo di mettersi nei panni dell’altro e di oscillare l’uno e l’altro sentimentalmente con lo stesso ritmo, che significa sentire allo stesso modo. Il sentimento dell’odio inculcato porta alla separazione della propria interiorità dall’interiorità dell’altro impedendone la risonanza, e quindi conduce all’isolamento interiore che genera un ostacolo insormontabile allo stare insieme in pace, in amicizia e in amore con tutte le conseguenze nefaste che ne conseguono.
Francesco Giuliano
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