Rivedere Amelio. “Il Signore delle Formiche”

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Ci sono dei film che vanno assolutamente rivisti anche più di una volta. Ieri sera (Oxer tutto esaurito) ho provato un’emozione ancora più forte rivedendo lo splendido film di Gianni Amelio,” Il Signore delle Formiche “, presente lo stesso regista che ha conferito un valore aggiunto a quello del film di per sé notevole rivelando una sensibilità, medesima umana e sofferta partecipazione a un problema solo parzialmente risolto da recenti leggi o leggine sulla liberalizzazione e riconoscimento diciamo civile dell’omosessualità persistendo purtroppo in pectore di molti le riserve mentali o la tacita disapprovazione per gli omosessuali. Del resto in un paese fondamentalmente bigotto, quale è il nostro il “rospo” non è agevolmente digeribile anche se rispetto alla persecuzione e condanna a nove anni di prigione del protagonista negli anni Sessanta, cui risale la vicenda narrata oggi, le cose sono cambiate. Una storia vera, la persecuzione ed esecuzione (processuale) del prof. Braibanti, scrittore e filosofo, messo alla gogna dell’opinione pubblica, poiché omosessuale e conseguente accusa di plagio annessi e connessi connotano il film come assolutamente necessario e attuale, una denuncia senza mezzi termini della condanna al rogo di essere umani davvero senza peccato. Un film introspettivo e rigorosamente analitico riguardo a un problema purtroppo solo parzialmente risolto da recenti leggi o leggine liberalizzazione e riconoscimento diciamo civile dell’omosessualità persistendo di fatto in pectore di molti le riserve mentali o una tacita disapprovazione di essa. A tal proposito valga una strofa di un song di Brecht: “Un uomo è un uomo/una bestia non è”, una bestia appunto l’omosessuale, ossia un uomo da bruciare o ammazzare, come si grida nel film, un film doloroso e dolente al tempo stesso, “didattico” ossia istruttivo per giovani e meno giovani, che obbliga a riflettere sul concetto di uomo anche omo cioè normale. Amelio ha costruito un film esemplare, evitando il melodramma, mirando dritto al dramma, restituendo impietosamente l’aberrazione dei genitori, soprattutto della madre, che considerano malato un figlio omosessuale, come nel film, una madre-matrigna, egregiamente interpretata da una ex cantante lirica Anna Caterina Antonacci, efficacissima, per una non casuale analogia il regista conclude egregiamente il film con la citazione di “Aida” di Verdi, rappresentata in un modesto teatro di Tespi, alludendo alla emarginazione e discriminazione della schiava, parimenti a quella del protagonista. Nel suo efficace e coinvolgente intervento lo stesso Amelio ha accennato a Visconti, a “Senso” che -soggiungiamo- si apre con “Il Trovatore” di Verdi, sottintendendo  che il film non era affatto un melodramma, bensì l’equivalente di un “romanzo storico”, una critica al “positivismo” risorgimentale etc. non a caso Franz grida in faccia alla contessa Livia Serpieri : ” Io non sono il tuo romantico eroe”! Nel caso di Amelio trattasi di un doloroso dramma umano magari uno psicodramma che coinvolge anche una giustizia clamorosamente, volgarmente ingiusta, come attestano le bellissime sequenze del processo, la infingarda bonomìa del giudice etc. Un film nobilmente dolente e doloroso, amaro e al tempo stesso riflettuto e riflessivo, stilisticamente impeccabile, politicamente e criticamente impietoso riguardo ai perbenismi o accomodamenti autoconsolatori. Un film attuale, come ogni classico impone, da “rileggere”.
(gimaul)


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