Riflessioni sul Coronavirus (1)

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Di che cosa avete paura? Sono io che muoio… Tutto ciò che io voglio è che vi sia qualcuno che mi tenga la mano quando ne avrò bisogno. Ho paura.                                                              Una  infermiera morente ai colleghi dell’ospedale

In questi giorni di pandemia le parole che accompagnano i nostri ricorrenti pensieri diurni e notturni sono: paura della morte, silenzio, solitudine, inquietudine solidarietà… In questo viaggio di riflessione sembra più pressante il pensiero della morte e la paura di non farcela.

Il virus subdolo, nascosto, improvviso, che assale ogni essere umano senza tener conto dell’età, dello status sociale, del grado di cultura, dell’appartenenza geografica fa paura, ci induce a riflettere sulla fragilità,  sulle debolezze umane, sulla caducità della vita e ci invita a meditare sulla finitudine dell’uomo, sulla precarietà dell’esistenza e sulla morte. Per chi crede, per chi ha fede, come ha scritto lo scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema, Rainer Maria Rilke, «La morte non è un baratro ove s’annida il nulla, ma una soglia al di là della quale c’è un oltre. La morte è l’altra faccia della vita rispetto a quella rivolta verso di noi».

La paura della morte, che è una paura universale, è strettamente legata alla nostra incertezza esistenziale, alla precarietà di vivere in serenità, alla mancanza di un futuro traballante, incerto e insidioso. Quello che oggi, in tempo di Covid-19, maggiormente spaventa e angoscia gran parte di noi è l’idea di morire in solitudine, senza essere accompagnati amorevolmente dalle persone che amiamo, che ci amano, senza essere accarezzati da mani affettuose, senza essere confortati da un caloroso abbraccio o da una preghiera, prima di un ultimo addio ricolmo di lacrime.

Numerose sono le persone anziane costrette a lasciare gli affetti cari dei nipoti, figli, coniugi, parenti e amici con i quali hanno trascorso giorni lieti e gioiosi, tristi e difficili. Molti sono gli uomini maturi, nel pieno della loro vita attiva, che vedono crollare sogni, progetti, programmi perché non hanno più futuro davanti a loro. Anche i giovani, colpiti dall’implacabile virus,  sentono che la loro esistenza, piena di speranze, di illusioni e di desideri di amore non più coltivabili,  è inesorabilmente stroncata. Certamente per loro, come ha scritto  Erich Fromm, «il morire è tremendo, ma l’idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile».

Si possono non condividere questi  brevi pensieri sulla morte e sulla paura di morire  in  questo particolare momento, data la drammatica situazione, ma siamo estremamente convinti che pensare alla morte è pensare alla vita, e soffermarsi su questa angosciante problematica significa apprezzare ancora di più il valore della nostra esistenza che ha del “miracoloso”.


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