Quel colpo da 993 milioni che contrassegnò la storia della giovane città di Latina
Il “colpo” dei 993 milioni (e mezzo) ha contrassegnato la storia della giovane città di Latina nel lontano 1955. Il primo scandalo politico-finanziario che coinvolse un istituto bancario molto noto, la Cassa di Risparmio di Latina, investì la provincia pontina coinvolgendo eminenti politici, banchieri e il mondo economico legato al settore del credito.
Le premesse di questa grave crisi finanziaria affondano le radici nella fase di urbanizzazione che ebbe luogo a Latina dopo la seconda guerra mondiale che alterò in maniera significativa il panorama urbano e incrementare le truffe finanziarie senza che vi fosse un adeguato controllo da parte delle Istituzioni e delle banche che si trovarono coinvolte esse stesse in operazioni assai poco trasparenti. Lo scandalo della Casa di Risparmio di Latina si alimentò in questo contesto fino ad arrivare ad un punto di rottura quando in una giornata grigia della metà di dicembre del 1955 due ispettori della Banca d’Italia varcarono la soglia degli uffici di Corso della Repubblica. I due capirono dopo poche ore che le cifre riportate sui registri e le effettive coperture in denaro non corrispondevano. Un giro vorticoso di cambiali scontate e non pagate, sostituite da altri titoli di credito a loro volta prorogati e non pagati, diceva chiaramente che tutta l’ossatura bancaria era sconvolta. Centinaia erano le operazioni false o non in ordine. Spuntò un deficit spaventoso. I responsabili di tutto questo finirono individuati in 13 persone legate tra di loro in un unico disegno.
Nel 1956 furono denunciati e poi condannati Gaetano Aiuti, il presidente della banca, Gennaro Grossi, Giovanni Pietrangeli, Carlo Grillo, Vito Cosumano, Donato Cafagna, Ottavio Zangrillo, Enzo Bartolomeo, Enrico D’Errico, Franco Jori, Giuseppe Volpari, Vittorio Ruo, Guido Tufo. L’ammanco era di 993 milioni. Le imputazioni erano quasi uguali per tutti: truffa, peculato, appropriazione indebita.
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