LATINA – Ho avuto modo di conoscere Federico Larosa su Facebook, incrociandolo in uno di quei gruppi gestiti dai nostri amici in comune; e la ragione per cui gli ho inviato una richiesta di amicizia è stata la nostra passione in comune per il cinema. Per chi non ha avuto modo di conoscerlo: Federico è nato a Genova trentotto anni fa per poi trasferirsi a Roma durante gli studi, arrivando a fare il giornalista, l’addetto stampa, l’autore e il conduttore radiofonico. Attualmente lavora per una fondazione che si occupa di ricerca neuroscientifica e psicopedagogia; in questi ultimi mesi ha persino pubblicato un romanzo intitolato: Nell’addio (Merlino Edizioni, pp. 220, 16 euro). A dargli l’opportunità sono stati i corsi gestiti dalla Scuola Merlino, presso la EvArt di via Aurelia a Roma, che seguono diversi aspiranti autori nelle varie fasi del processo di scrittura e di editing. Nell’addio racconta la storia d’amore tra Edoardo e Alessandro, che sono rispettivamente un giovane studente di cinema e commesso in un negozio di abbigliamento e un istruttore di fitness e attore di fiction televisive quarantaduenne. Appena finito di leggerlo, Federico ha accettato la proposta di incontrarmi in un bar del suo quartiere per parlare di cinema e letteratura, arrivando a scoprire che condividiamo lo stesso interesse per i film di Woody Allen e per i libri di Stephen King; e per poi arrivare a discutere sul suo esordio letterario.
Quale dei due protagonisti ti rispecchia maggiormente: Edoardo o Alessandro?
Direi Edoardo. Ho cercato di riassociarmi ai pensieri, alle idee e alle emozioni che vivevo quando avevo la sua età; cioè quando avevo ventiquattro anni.
Nella realtà ti sei mai innamorato di un uomo come Alessandro?
Innamorato no, ma mi piacerebbe tanto incontrare qualcuno come lui.
Che rapporti hai con il quartiere del Pigneto, luogo di ambientazione del tuo romanzo?
Non l’ho mai frequentato, a dire il vero. Nemmeno adesso che praticamente ci vivo a due passi. Penso che abbia un fascino molto particolare, oltre che una storia densa di vissuti e di emozioni.
Leggendo questo romanzo ho avuto modo di assistere ad una storia d’amore tra due uomini così pura e passionale allo stesso tempo. Una sorta di attrazione mentale, oltre che fisica; nonostante sia cominciata con una lunga conversazione in una chat d’incontri. Che rapporti hai con quel genere di comunicazione?
A volte la chat può essere uno strumento efficace per abbattere le prime timidezze. Il problema è quando diventa l’unico modo per conoscere qualcuno e arriva a sostituire gli incontri fisici e le conoscenze nel mondo reale.
Come mai hai scelto di ambientare questa storia nel 2005?
Volevo che questa storia avesse un tocco “retrò” ma non molto, non so se riesco a spiegarmi. L’inizio del Nuovo Millennio ha per me quel fascino carico di aspettative per un futuro migliore che mi sembrava fosse l’ambientazione giusta per la mia storia.
Uno dei personaggi di contorno del tuo libro (mi riferisco a Marcello, l’autista notturno dell’ATAC e amico paterno di Edoardo) ha detto che: << la filosofia è la vita, l’esistenza consapevole; mentre il cinema è semplicemente una riproduzione >>. Sei d’accordo su questo?
Io adoro la filosofia quanto il cinema. Se consideriamo il cinema una semplice riproduzione allora dobbiamo definire la filosofia solo una riflessione sulla vita.
Secondo te quel punto di vista vale anche per la letteratura?
Si tratta sempre di interpretazioni e di punti di vista. Leggere è meraviglioso perché puoi dare forma nella tua testa a qualcosa che esiste solo a parole e immaginarlo come vuoi. Per questo, secondo me, si dice spesso che i libri siano meglio dei film che se ne possono trarre; perché quando leggiamo i registi siamo noi.
Marcello è uno dei miei personaggi preferiti perché sembra uscito da un film diretto da Ettore Scola e scritto da Age & Scarpelli. Secondo te è vero che il nostro cinema è peggiorato a causa dei nostri nuovi autori che hanno smesso di prendere il tram o l’autobus?
Beati loro che non li prendono (Ride). Scherzi a parte, io utilizzo i mezzi pubblici a Roma da trent’anni e sono esaurito. Però c’è tanta e varia umanità sui mezzi pubblici da poter compilare manuali su manuali, e da scrivere centinaia o migliaia di opere. Sicuramente ci si riconnette con la realtà della vita quotidiana.
Avendo parlato anche di coming out nel tuo libro, quanto è importante dichiararsi ai giorni d’oggi? Secondo Mahmood dichiarare la propria omosessualità non porta da nessuna parte, se non per parlare di sé.
Per gli artisti è importantissimo per svariati motivi: perché possono essere di supporto ai loro fan omosessuali in difficoltà, e perché possono contribuire a veicolare un messaggio di assoluta normalità che nel nostro paese purtroppo fa fatica ad affermarsi. Per le persone comuni significa dimostrare di accettarsi così come si è senza paura. La società ha una responsabilità importante in tutto questo discorso.
Infatti, è uscito un mese fa il nuovo film di Ferzan Ozpetek intitolato “La dea fortuna” che tratta, per la prima volta in Italia, l’omogenitorialità tra due uomini. Hai qualche opinione sulle adozioni e sulle gravidanze in surrogato per le coppie omosessuali?
Ritengo che un bambino abbia bisogno di amore e di attenzioni. Che siano un uomo e una donna, due uomini o due donne a prendersene cura non credo che sia diverso. Alcune persone dicono che la società non è pronta per questo, che il bambino in questione potrebbe avere dei problemi. Io dico di educare la società, non impedire che una coppia omosessuale possa dare amore ad un figlio.
Tornando a parlare di cinema: hai mai accarezzato l’idea di lavorare su un set? Tipo fare il regista o lo sceneggiatore?
Ho sempre affrontato il cinema dal punto di vista del giornalismo scrivendo articoli, recensioni e ospitando diversi artisti nella mia trasmissione radiofonica. L’idea del set non mi ha attratto particolarmente. Sono un imbranato. Però chi ha letto Nell’addio pensa che sia molto cinematografico, e quindi chissà … magari un giorno collaborerò alla stesura della sceneggiatura tratta dal mio primo romanzo (ride).
Anche se Nell’addio continuerà a fare i suoi giri di presentazione, pensi mai a dei nuovi progetti lavorativi?
Certo. Ho già alcune idee di storie da sviluppare in romanzi; e poi mi piacerebbe pubblicare una raccolta di racconti legati ad un filo conduttore.
Tanto per concludere in bellezza: come descriveresti il tuo rapporto con Enea, al quale hai dedicato questo romanzo?
È un micio speciale. Viviamo insieme da più di due anni e mezzo e la nostra convivenza va a gonfie vele.
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