È finita un’epoca. Il terremoto elettorale negli Stati Uniti è assai superiore alla prima vittoria di Donald Trump nel 2016. Quella fu una fortunosa sorpresa. Questa un trionfo schiacciante.
È importante soffermarsi sulle dimensioni del successo di Trump. Il leader repubblicano non avevano mai preso più voti del candidato democratico. Stavolta ha stravinto: al momento ha 5 milioni di voti di vantaggio, la maggioranza assoluta. Non solo. Trump ha aumentato i consensi in tutti gli Stati d’America, a eccezione di Utah e Washington. Li ha accresciuti in 2300 contee su oltre 3 mila. In Texas ha avuto un milione di voti in più. Le roccaforti liberal sono crollate: a New York il vantaggio dei democratici è passato dal 23 al 12%, in New Jersey hanno quasi perso, passando dal 16 al 4%. Nelle città come Philadelphia o Detroit mancano decine di migliaia di voti ai democratici.
L’America ha scelto inequivocabilmente un capo che promette vendetta e di rovesciare il sistema. Perché?
Trump ha vinto perché dal 2020 a oggi sono stati anni difficili in America. Il Covid ha ucciso quasi un milione di persone. Vaccini e lockdown hanno diviso la popolazione, percepiti da molti come prova dell’intrusione del governo nella vita personale. La criminalità ha avuto un’impennata, prima di scendere negli ultimi mesi. Fentanyl e oppiodi hanno fatto più vittime che mai. L’inflazione è aumentata mediamente del 20%, con picchi del 30-40% per affitti e assicurazioni sanitarie. Rivolte nelle strade (Black Lives Matter) e nelle università (Palestina).
Se aggiungiamo due guerre scoppiate in Ucraina e Medio Oriente e il collasso del sistema dell’immigrazione (7 milioni di individui entrati in tre anni), non stupisce che sia diffusa la percezione che il paese sia fuori controllo. Il 72% degli americani pensa che l’America vada nella direzione sbagliata. L’amministrazione Biden ha girato la nazione spiegando che l’economia andava alla grande grazie ai sussidi e agli investimenti a pioggia nell’energia pulita, nei semiconduttori, che creavano posti di lavoro. Tutto vero, ma gran parte della popolazione non lo ha visto. Si è convinta che il governo mente, a partire dalla salute di Joe Biden.
Trump ha vinto perché i democratici sono stati percepiti come pericolosi estremisti. Nel 2019-20 avevano fatto campagna, tra primarie ed elezioni generali, su posizioni molto a sinistra, convinte dalle proteste di Black Lives Matter che l’America fosse pronta a seguirli. Non lo era. Hanno pagato slogan come «togliamo i fondi alla polizia» e la rimozione dei controlli alla frontiera. Hanno pagato il wokismo e le politiche di diversità, eguaglianza e inclusione, viste come razzismo al contrario. Hanno pagato l’ambientalismo elitista e i divieti sul fracking, percepiti come ostacoli a posti di lavoro, carburante a prezzi bassi, supremazia energetica. Hanno pagato la politica dell’identità e gli eccessi sulla fluidità di genere. Trump ha speso più soldi sulle pubblicità contro il cambio di sesso per i minori che su qualunque altro tema.
La maggioranza degli americani ha dunque rifiutato il modello politico, culturale, sociale ed economico proposto dai democratici negli ultimi quindici anni. E presentato come moralmente superiore. I liberal si nascondevano dietro i numeri, dicendo di rappresentare la maggioranza. Da oggi non è più così. Trump non è mai stato tanto popolare tra gli ispanici, tra i neri e tra i giovani, questi ultimi coltivati grazie al sapiente uso dei podcast ascoltati dalle nuove generazioni. I democratici sono riusciti nel miracolo di trasformare i repubblicani in un partito della classe lavoratrice, multirazziale e capace di usare i nuovi media.
Trump ha vinto perché tutto questo indica che in America è in corso una rivolta contro le élite: la divisione tra laureati e non laureati è una delle primissime indicazioni di voto. È lotta di classe, in salsa americana, cioè guidata da un multimiliardario con l’appoggio di altri multimiliardari, perché negli Stati Uniti il successo non spaventa. Ma mentre i repubblicani hanno subito un’insurrezione interna e un repulisti generale dal 2010, i democratici sono rimasti intonsi, anzi resistendo cooptando le correnti populiste e adottando un atteggiamento sovietico – ranghi compatti e silenzio, aspettiamo che i repubblicani si facciano fuori da soli. Così hanno perso tutto.
Il risentimento popolare (definito populismo dalle élite snob) si è accumulato negli anni. Dalle sconfitte in Iraq e Afghanistan al crollo di Wall Street nel 2008. Fino al peso dello sfruttamento sul lavoro, sempre più forte in una società dove le disuguaglianze economiche crescono e quattro quinti della popolazione sta peggio rispetto a inizio secolo.
Trump ha vinto anche per la percezione di un mondo fuori controllo che sta trascinando l’America nella terza guerra mondiale. Non è vero che gli elettori repubblicani sono isolazionisti. La maggior parte di loro è anzi assai più propensa a parlare di politica estera, spontaneamente, rispetto agli elettori democratici. La loro preoccupazione è una sola: non facciamo più paura a nessuno, vogliamo un leader forte che tiri una riga e si faccia rispettare. Questa è la richiesta, che la nuova classe dirigente condivide. I democratici hanno fatto della prevedibilità il loro mantra. È esattamente ciò che contesta l’elettorato e che molti nemici dell’America sfruttano a loro vantaggio. Tradurre questo impulso in una politica estera coerente è un’altra storia. E può portare a momenti di alta tensione nel prossimo futuro.
Altre analisi seguiranno, ma il primo dato è che la rivolta contro una certa élite ha sfondato i cancelli di Washington. Stavamo per scrivere di Versailles. Il clima rivoluzionario è quello.
( Fonte Limes)
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