Nell’ambito dell’attuale pandemia Covid-19, che ha messo in crisi il sistema sanitario, gli assiomi economici, l’impianto sociale, il metodo politico, le convinzioni, ecc., è naturale porsi delle domande su tutto ciò che sta avvenendo, in quanto il susseguirsi degli eventi funesti e infausti travalica la comprensione di ogni individuo che, in genere, non possiede un livello culturale appropriato. Quale dovrebbe essere tale livello? Un alto livello di cultura generale o un idoneo livello di cultura scientifica specialistica? Singolarmente ciascuna di queste culture risulterebbe utile per una comprensione più corretta? Oppure sarebbe imprescindibile il possesso di ambedue questi ambiti culturali? Prospettiva impossibile quest’ultima perché già risulta difficile definire la Cultura che si può provare ad esplicitarla con una similitudine: la Cultura è come un dolce, più se ne mangia e più se ne vuole. In altre parole: Chi ama il mondo della Cultura vaga nella sua infinità come un astronauta che perlustra l’Universo (Da La ricerca – Aracne ed., 2018). E poi viene spontaneo chiedersi quale sia la differenza tra la Cultura generale e la Cultura specialistica. Per Cultura generale comunemente si intende la conoscenza di un ampio ambito di argomenti, senza possedere una specifica competenza riguardo a ciascuno di essi. Per Cultura specialistica, invece, si intende la competenza entro una determinata area disciplinare spesso molto ristretta: umanistica (es. filosofia teoretica), scientifica (es. fisica delle particelle), tecnologica (es. computer). Le persone, visitando la rete di internet e ricevendo tramite essa informazioni di qualsiasi genere, credono di essere in possesso di qualsivoglia contenuto culturale, ma più volte non tengono conto, in quanto non hanno i mezzi cognitivi necessari, che ciò che leggono potrebbe essere una notizia falsa (fake news) o un concetto falso o un’opinione errata. Leonardo da Vinci (1452 – 1519) sosteneva che Quelli che s’innamoran di pratica sanza scienza, son come ‘l nocchiere, ch’entra in naviglio sanza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada. Confondono, in effetti, l’informazione con la conoscenza, quella particolare conoscenza che genera altra conoscenza e, nel tempo e con approfondimenti opportuni, produce competenza. Il loro modo di essere, soprattutto se supportato anche da un titolo di studio specialistico, potrebbe tramutarsi in presunzione e generare anche esaltandola quell’arroganza dogmatica che chiude la mente alla speculazione. Lo scrittore statunitense Henry Miller (1891 – 1980) nel suo primo romanzo Tropico del cancro (Feltrinelli, 2013) scriveva che le idee non possono esistere da sole nel vuoto del pensiero, mentre nella raccolta di racconti autobiografici Primavera nera (Feltrinelli, 1968) sosteneva che il libro è l’uomo e il mio libro è l’uomo che sono … Ambedue queste citazioni sostengono la personale profonda convinzione che non basta un titolo di studio per certificare una cultura sufficiente tale da costituire lo strumento per poter leggere la realtà ampiamente. Anzi spesso un’attestazione certificata, se non venisse alimentata continuamente da continui aggiornamenti e ampliamenti della propria sfera conoscitiva, genererebbe ignoranza che, come sosteneva il filosofo Socrate (469 – 399 a.C.) è l’origine di tutti i mali e della paura. La Cultura, infatti, viene conseguita e ampliata gradualmente post lauream o post diploma sia nel proprio campo specialistico sia attraverso la lettura di giornali, documentari, riviste specializzate e libri di vario genere, siano essi romanzi o saggi, che permettono sia di mettere a confronto le proprie convinzioni con quelle dello scrittore o del giornalista o del documentarista ed elaborarle, sia di poter leggere tutto ciò che avviene nella realtà con occhio problematico e critico senza lasciarsi prendere dall’angoscia, soprattutto quando gli avvenimenti stanno al di fuori della propria sfera cognitiva. È lecito pensare, come ho scritto varie volte, che la separazione delle due culture in ambito scolastico – quella umanistica e quella scientifica – avvenuta con la Riforma Gentile (1923), abbia determinato lacune conoscitive in vari campi perché la scuola conferisce le basi formative su cui ognuno possa costruire la cultura personale. Tale riforma era basata sull’idealismo, corrente filosofica secondo cui soltanto la cultura umanistica era in grado di sviluppare le capacità cognitive fondamentali dell’individuo, mentre l’importanza della scienza nel mondo moderno veniva ridotta ad aspetti pratici, tecnici, utilitari. La separazione della cultura umanistica da quella scientifica e lo squilibrio ponderato – soprattutto negli istituti tecnici e professionali – tra discipline umanistiche e discipline scientifiche a vantaggio delle prime probabilmente siano stati i fattori determinanti del disorientamento che una deficienza culturale provoca. Lo stesso scrittore siciliano Elio Vittorini (1908 – 1966) aveva sostenuto l’unicità della cultura che è letteraria ma anche scientifica e attribuiva la responsabilità della separazione tra le ‘due culture’ alla contemporanea letteraria antiscientifica e vecchia; voleva una cultura nuova che, per essere veramente tale, doveva essere unitamente letteraria e scientifica.
La compianta astronoma Margherita Hack (1922 – 2013), nel saggio Libera scienza in libero Sato (Rizzoli, 2010) ha scritto: Sopravvive tuttora, per colpa di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, il pregiudizio che vede nella scienza una forma di cultura minore, rispetto alla Cultura con la ‘C’ maiuscola che era quella umanistica. La loro influenza è ancora profonda nella scuola: il liceo classico è considerato il più formativo, anche rispetto al liceo scientifico, […]. Persino sui giornali talvolta le pagine della cultura e della scienza – quando compaiono! – sono separate, come se la scienza non fosse cultura. Per Croce in particolare esiste una forma di cultura elevata, quella umanistica, che si contrappone alla scienza, considerata un mero insieme di tecnologie; secondo lui solo le menti profonde sono in grado di dedicarsi alla filosofia, mentre ‘gli ingegni minuti’ possono occuparsi di matematica o di botanica. Quanto queste idee siano sbagliate ce lo dimostra l’opera di Albert Einstein, che è in grado di immaginare realtà così lontane dalla nostra esperienza quotidiana[…], o le intuizioni di Marx Planck, che danno origine alla fisica quantistica […] . E se andiamo quattro secoli indietro, arriviamo ai tempi di Galileo Galilei e di Giovanni Keplero […]. Questi grandi scienziati sono stati anche profondi filosofi che hanno rivoluzionato le nostre concezioni del mondo. Allora ci domandiamo se ha senso parlare di due culture, l’umanistica e la scientifica: dov’è il confine tra l’una e l’altra? […] , anche il papa si permette di accusare gli scienziati di essere arroganti e avidi: “La scienza moderna a volte segue solo il facile guadagno e tenta di sostituirsi al Creatore con arroganza, senza essere in grado di elaborare principi etici, mettendo in pericolo la stessa umanità”.
Oggi, a causa della pandemia Covid-19 come già detto, l’individuo comune vive inconsciamente e continuamente le contraddizioni testé riportate della grande scienziata e sente la profonda necessità di comprendere ciò che lo riguarda personalmente e che riguarda la società in cui egli vive. Allora, risulta necessario avere una Cultura adeguata – la Terza Cultura -, con cui gli umanisti pensano come gli scienziati e gli scienziati come gli umanisti, perché in fondo ciò che accomuna gli uni agli altri sono i sentimenti che loro esplicitano e la passione con cui svolgono il proprio lavoro. Cambia il substrato di pensiero, ma colui che passa all’azione è sempre e soltanto l’uomo. Ci si augura, quindi, un nuovo umanesimo. Ed è questo l’ambito culturale in cui si svolgono i miei romanzi, in uno dei quali ho scritto che «l’istinto primordiale si poteva vincere soltanto tramite lo studio, l’astrazione e la conoscenza. Quel loro grande bagaglio culturale, fatto di matematica, geometria, astronomia, filosofia, era dimostrato da un amore profondo per la sapienza, che i filosofi di quei popoli avevano chiamato ‘sofia’, la quale, attraverso ‘l’episteme’, cioè la scienza, conduceva obbligatoriamente l’individuo umano a scoprire ‘l’ennoia’, ovvero il concetto o meglio il profondo significato delle cose visibili e invisibili della natura. E, in questo suo modo di agire e pensare, egli acquisiva una grande ‘areté’, cioè apprendeva la virtù che lo conduceva lungo tutto il suo percorso vitale a migliorare se stesso, a stare in pace con gli altri suoi simili e con i quali collaborare per cambiare in meglio il mondo» (Sul sentiero dell’origano selvatico, Aracne, ed., 2021). Nel 1991, John Brockman, presidente della Edge Foundation, infatti, nel saggio The Emerging Third Culture, scriveva “Negli ultimi anni il campo di gioco della vita intellettuale … si è spostato e l’intellettuale tradizionale ha assunto un ruolo sempre più marginale. Un’istruzione in stile anni Cinquanta, basata su Freud, Marx e il modernismo, non è una qualifica sufficiente per una testa pensante del giorno d’oggi. Di fatto gli intellettuali tradizionali … sono in un certo senso sempre più reazionari e spesso fieramente (e perversamente) ignoranti di molti significativi conseguimenti intellettuali della nostra epoca. La loro cultura, che disdegna la scienza, è spesso non empirica. Utilizza un proprio gergo e lava in casa i propri panni (più o meno sporchi). È perlopiù caratterizzata da commenti di commenti, e la spirale di commenti si dilata fino a raggiungere il punto in cui si smarrisce il mondo reale.”(da I nuovi umanisti – Garzanti, 2005).
La rete Internet, negli ultimi anni, ha prodotto una rivoluzione che ha messo in crisi il tratto spirituale ed ha catalizzato l’affievolirsi delle qualità umane della maggioranza delle persone che la usano, e, se le istituzioni non correranno ai ripari, varrà il vaticinio del filosofo francese Auguste Comte (1798 – 1857), secondo cui senza un nuovo potere spirituale, la nostra epoca, che è un’epoca rivoluzionaria, produrrà una catastrofe. E, si può anche ritenere importante l’opinione del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) nel saggio La saggezza della vita, secondo cui spesso le doti migliori abbiano un numero piccolissimo di ammiratori e che la maggior parte della gente ritenga buono ciò che è cattivo, è un male che si vede quotidianamente. Come si può, però, arginare questa peste? Dubito che questa piaga si lasci staccare dal nostro mondo. Vi è un solo mezzo sulla terra, ma è estremamente difficile: gli stupidi devono diventare saggi. Attenti però! Non lo diventeranno mai. Non riconoscono mai il valore delle cose. La parola conclusiva è dei loro occhi, non dell’intelletto. Lodano eternamente ciò che vale poco perché non hanno mai conosciuto il bene.
Francesco Giuliano
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