Oggi, a causa dell’isolamento imposto per legge, al fine di evitare il contagio da coronavirus, ci si sente privati di libertà e incapaci di agire e di affrontare il problema, questo problema causato dal covid-19, individualmente e cercare di difenderci. Ci si sente come un pilota di un’auto in corsa, lungo una discesa ripida con il pedale dei freni che non funziona. Come quel pilota siamo colti da un senso di impotenza misto ad incipiente insofferenza. È quello stesso senso di impotenza che genera un senso di paura e che ci porta finanche a sospettare della vicinanza del vicino per il timore che ci contagi. Un senso di paura che genera ansia e preoccupazione. Un senso di paura incrementato soprattutto dall’immaginazione che proietta il nostro stato di sofferenza psichica in un futuro prossimo. Come andrà a finire? Come sarò costretto a vivere dopo? Dovrò continuare a stare lontano dagli altri? Non potrò neppure dare una pacca sulle spalle o una stretta di mano? Saranno proibiti gli assembramenti, i bagni di folla? E i cinema, i teatri, i concerti, e così via come funzioneranno? Il porsi continuamente domande di tal genere e un persistente sentir dire che niente tornerà come prima mettono in evidenza l’instaurarsi di uno stato di ansia individuale difficile da eliminare dalla mente. In tal modo si incrementa lo stato di inquietudine personale che determina esponenzialmente uno stato di nervosismo che potrebbe degenerare in situazioni molto spiacevoli e inopportune.
Nell’arginare l’effetto nocivo di questa malattia pandemica da una parte, si mette a rischio dall’altra parte la salute di tutti coloro che sono costretti a vivere nell’isolamento e privati delle libertà fondamentali. Si sente dire che questo stato permarrà per un periodo limitato nel tempo. Ma questo limite non potrebbe diventare di lunga durata, se la ricerca non fosse in grado di mettere a punto un farmaco per curare la malattia o produrre un vaccino per prevenirla? Allora, per tenere in ottime condizioni il nostro stato di salute, e quindi per salvaguardarci da ogni circostanza negativa personale, dovremmo vivere alla giornata così come spesso si fa in condizioni di normalità. Dovremmo seguire i dettami di questo antico aforisma: Carpe diem quam minimum credula postero (vivi il giorno e confida il meno possibile nel domani), come sosteneva il poeta latino Orazio nel I sec. a. C., cioè più di venti secoli fa. Non sappiamo dove sta la verità perché la stessa scienza, al di là dei pregiudizi sbagliati che il suo insegnamento ha potuto infondere, oggi dimostra, urbi et orbi, qualunque sia il suo campo di pertinenza, che siamo trasportati continuamente dall’incertezza sia in condizioni di vita normale che particolare. E allora chiedersi dove sta la verità risulta essere cosa vana, che non è la stessa cosa di affidarsi alla ragione e alla ricerca scientifica, il cui lavoro è volto a trovare una soluzione al problema. Karl Popper scrisse addirittura un saggio dal titolo Tutta la vita è risolvere problemi per sottolineare che il vero razionalista non crede che lui stesso o altri sia in possesso di verità ultime e definitive, ma crede che solo la discussione critica possa aiutarci a discernere, nel campo delle idee, il grano dalla pula. Dico questo perché la scienza, al di là della credenza popolare, non trasmette verità assolute ma soluzioni a problemi perché la verità non esiste in quanto essa è in continua trasformazione. Il filosofo greco Eraclito, vissuto nel VI – V sec. a.C., sosteneva che non si può discendere due volte nello stesso fiume, oppure anche che il mare è l’acqua più pura e impura: per i pesci è potabile e gli preserva la vita, per gli uomini è pessima e mortale, mettendo in discussione il principio di non-contraddizione di Parmenide, che venne successivamente così espresso da Aristotele: se una data affermazione è vera, ogni affermazione che la contraddice è falsa. Oggi, a causa dell’avvento della fisica quantistica, in cui vige il dualismo onda-corpuscolo, il suddetto principio è stato sostituito dal principio di complementare contraddittorietà secondo cui risultano vere una data affermazione e la sua negazione: ex falso seguitur quodlibet, cioè dal falso segue qualunque cosa (scelta) a piacere. Qualche lettore di questo articolo potrebbe pensare,a questo punto, che esso evidenzia soltanto chiacchiere che non risolvono il problema che ci si presenta. A costui rispondo riportando un passo del saggio di Karl Popper La società aperta e i suoi nemici relativo al razionalismo di Socrate o razionalismo vero che altro non è che la consapevolezza dei propri limiti, la modestia intellettuale di coloro che sanno quanto spesso si sbaglia e quindi si dipende dagli altri anche per sapere questo soltanto. Esso è la consapevolezza che non dobbiamo aspettarci molto dalla ragione, che il dibattito raramente risolve un problema, benché sia il solo mezzo per imparare non a vedere chiaramente, ma a vedere più chiaramente di prima. In altre parole, attraverso il razionalismo vero viene messa allo scoperto qualunque scelta irrazionale che ci mette conseguentemente in guardia da essa.
Francesco Giuliano
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