LATINA – “Cara Barbara Palombelli ti scrivo anche se probabilmente avrai così tanti impegni da non poter dedicare cinque minuti per leggere un post di un ragazzo che un giorno è stato figlio di una famiglia povera.
Mi permetto di darti del tu perché frequentando lo studio televisivo di Forum ho avuto modo di “conoscerti”.
Questa mattina purtroppo non c’ero a Forum, ma dopo i tanti messaggi che ho ricevuto riguardo ad una frase che speravo fosse stata male interpretata, ho deciso di riguardare la puntata.
“I poveri non dovrebbero fare figli”, quella brutta frase cara Barbara è stata veramente detta.
Che orrenda cosa che ho sentito.
Che orripilante messaggio che è passato.
Cosa hanno i figli dei poveri meno dei figli dei ricchi?
Mi chiedo e ti chiedo?!!!
Nulla, cara Barbara.
Io sono orgogliosamente figlio di una famiglia povera.
Mia mamma si è spaccata la schiena pur di farci crescere con quella educazione e con quella onestà e dignità che manca a molti bamboccioni definiti figli dei ricchi.
I figli sono un dono d’amore non certo un oggetto da potersi o non potersi permettere.
Certo, io non avrò banconote da 50€ come se piovesse, non ho mai viaggiato con autista in un auto blu e sicuramente non ho fatto viaggi così tanto quanto i tuoi figli o i figli dei ricchi, però sono orgoglioso di essere nato povero perché oggi ho la forza di apprezzare la bellezza della vita che si nasconde dietro le cose semplici, dietro l’umiltà, intorno ad un tavolo dove c’è pochissimo cibo ma tanto vero amore.
I figli dei ricchi possono dire lo stesso cara Barbara? Non credo.
Io credo invece, che per la frase di cattivo gusto pronunciata questa mattina, c’è bisogno di chiedere scusa a quei milioni di ragazzi e ragazze di “figli poveri”, che come me oggi nonostante tutto possono gustare la bellezza della vita, perché la vita cara Barbara non appartiene ai soli ricchi.
Ti lascio con una frase che spero sia da riflessione per molti:
Solo i poveri conoscono il significato della vita, chi ha soldi e sicurezza può soltanto tirare a indovinare.
(Charles Bukowski)”
Ferdinando Tripodi
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