LATINA – Andrea Comincini, filosofo di Sabaudia, Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi Roma Tre, ha conseguito un Ph.D. in Italianistica presso lo University College Dublin, dove ha lavorato in qualità di Senior Tutor. È stato Helm-Everett Fellow presso la Indiana University nel 2011. Giornalista pubblicista e ricercatore indipendente, collabora con Il manifesto, Alfafabeta2, Filosofia blog e Scenaillustrata.
Finora ha pubblicato: Itinerari filosofico-letterari, (2010); Altri dovrebbero aver paura (traduzione e curatela di lettere inedite di Sacco e Vanzetti, con prefazione di Valerio Evangelisti e con un contributo di Andrea Camilleri, 2012); Voci dalla Resistenza (2012), una collezione di testimonianze sulla vita dei partigiani; L’anima e il mattatoio (poesie, 2013). Nel 2014 ha curato Le ragioni di una congiura, ancora su Sacco e Vanzetti, e Carlo Levi filosofo. Nel 2015, La persuasione e la rettorica di C. Michelstaedter, edizione critica. Il suo ultimo lavoro è Nefes. Piccolo trattato sull’esistenza infranta (Tangram edizioni scientifiche, 2017).
Proprio quest’ultimo lavoro ha ispirato la nostra conversazione con il filosofo della città delle dune.
Andrea Comincini, scrittore, storico e oggi autore del suo primo libro di filosofia. Da dove nasce questa idea?
Salve. Beh, io sono un filosofo principalmente, e ho dedicato la mia vita a questa disciplina, che intendo come esercizio spirituale: così un grande intellettuale, Pierre Hadot, la definiva. L’idea fondamentale del libro quindi ripropone la più classica delle domande: la vita ha un senso?
Domanda impegnativa: c’è una risposta?
La risposta va cercata in due mondi: il mondo della scienza, il mondo dello spirito. Nel libro provo a investigare pregi e limiti di entrambi. Non vi è tuttavia contrapposizione, a mio avviso, ma incomprensione. Chiarire il rapporto scienza/fede è necessario.
Come si struttura il libro?
La prima parte parla di filosofia, come è nata e cosa la attraversa. Ci sono ovviamente varie correnti, ma tutte si fondano su quel thaumazein, quel sentimento di stupore, che è centrale nel pensiero greco. Cerco di osservare l’esistenza, e carpirne la quintessenza attraverso gli effetti in campo filosofico e artistico. Nella seconda parte il tono è più colloquiale, e la conversazione affronta temi di attualità: informazione, media, democrazia.
Le due parti sono in antitesi?
No, assolutamente. Dopo aver esplorato il mondo interiore, analizzo quello esteriore, la società. Filosofare è vivere nel mondo, non dentro torri d’avorio a contemplarsi. Schopenhauer, ne La filosofia delle università, docet.
Il titolo incuriosisce. Cosa vuol dire Nefes?
Nefes, in ebraico, ma anche in turco contemporaneo, è il respiro. Mi sono rivolto al significato antico, quello che rimanda al pnemua greco o alla ruach, il soffio di dio, spirito santo. In teosofia ha altrettanti significati, e si può registrare anche nel buddismo un simile attenzione etimologica.
Il senso della vita sta tutto qui: questo respiro, questo soffio vitale, è dono divino, parte di una Dike, oppure appartiene a una dimensione tutta umana?
E quale risposta ti sei dato?
Come direbbe Wittgenstein, autore che cito spesso insieme a Michelstaedter o Sgalambro, l’importante è la domanda, non la risposta! Battute a parte, credo che la figura di Amleto sia rappresentativa per chiunque si interroghi su questi temi. A. Camus diceva che in fondo l’unica vera domanda sia se vale la pena vivere; io penso che ancora più essenziale sia chiedersi se c’è un senso nel mondo. A seconda della risposta, che è sempre personale, è possibile replicare al grande filosofo francese. Da parte mia, la ricerca continua.
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