Roma – L’Italia potrebbe avere una produttività più alta della Germania se il rapporto dimensionale tra piccole e grandi realtà fosse lo stesso tra i due paesi. Siamo il Paese con la popolazione di imprese più numerosa e più frammentata d’Europa e con un tessuto economico costituito per il 95% da micro imprese e per il 4% da PMI, spesso focalizzate solo sul prodotto, rimaste al secolo scorso da un punto di vista strategico, culturale e organizzativo.
Imprese quasi sempre a conduzione familiare, dove di frequente manca sia cultura manageriale e strategica, sia attenzione alla digitalizzazione e all’informatizzazione, e dove raramente si guarda all’innovazione.
Secondo un’indagine condotta sulle imprese italiane da Mama Industry, società di consulenza aziendale fondata da Marco Travaglini e Fabrizio Mecozzi, sono pochissime le mPMI realmente competitive in cui, nella maggior parte dei casi, il management è espressione della famiglia, parentela e delle amicizie, a discapito delle capacità oggettive, un dato simbolo della reticenza e sfiducia nel delegare figure professionali esterne competenti, aperte al cambiamento e in contatto con ambienti, professioni, strumenti e metodologie di trasformazione e innovazione. Le statistiche (da indagine ISTAT sui motivi della mancanza di diffusione dell’innovazione) confermano inoltre che la bassa propensione ad investire in innovazione e in progetti di Ricerca e Sviluppo è correlata alla mancata contaminazione con ecosistemi, filiere e comunità.
Condizioni che incidono in misura significativa sull’economia italiana, costituita prevalentemente da queste imprese che rappresentano il cosiddetto “mercato off“, in difficoltà nel creare valore aggiunto, causa della bassissima produttività del lavoro e del capitale, il primo vero problema del sistema socioeconomico. Dalla stessa ricerca, infatti, si ipotizza un effetto domino che origina altre problematiche fondamentali del nostro Paese: calo dei consumi interni, basse prospettive di crescita, instabilità del mercato del lavoro, precarietà, bassa natalità, disuguaglianze, etc.
Queste imprese si trovano, quindi, intrappolate in una situazione stagnante, producono poco valore aggiunto che difficilmente viene reinvestito e stentano ad avere accesso al credito o a servizi di alto livello di conoscenza o tecnologico. Un circolo vizioso che ne impedisce la crescita e che Mama Industry punta a spezzare con il progetto Consulente Paziente. Una Community che vuole diventare grande, con l’obiettivo di democratizzare la consulenza e i servizi a valore aggiunto per le piccole realtà, mettendo loro a disposizione gli stessi strumenti, le metodologie e le medesime opportunità che hanno i “big”, agevolandone così la produttività mediante un approccio a basso costo economico, emotivo e di effort, dell’imprenditore reticente e diffidente al cambiamento.
“La nostra, in qualche modo, è una missione sociale, di aiuto a chi, nel panorama generale, si trova maggiormente in difficoltà ad accedere a metodologie e strumenti, ma che ha grande merito, spesso buoni prodotti e buone idee – commenta Fabrizio Mecozzi – A differenza di altre società di consulenza, abbiamo deciso di non rivolgerci ai grandi, sebbene siano mediamente più redditizi, ma di spostare il focus sulle mPMI, fornendo loro un approccio diverso, soprattutto all’inizio del percorso, dove serve pazienza, con il supporto di strumenti utilizzati dai grandi, per renderle più produttive e competitive e di abbreviare il costo (in senso lato) di ingresso in determinati sistemi di innovazione.
Consulente Paziente, nato grazie ad un progetto di Ricerca e Sviluppo realizzato con le Università di Verona e di Bologna, e con il Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, parte dalla creazione di una Community di Consulenti altamente qualificati e con competenze trasversali ma che hanno avuto esperienze imprenditoriali o ne sono stati fortemente ed emotivamente in contatto; il progetto si basa sul paradigma che l’innovazione è prima una questione di esperienza e di fiducia piuttosto che tecnica. Questi professionisti (mediante diversi strumenti, metodi e piattaforme in fase di sviluppo) aiutano gli imprenditori a fare il primo passo verso l’innovazione, il primo approccio, quello più difficile, dove occorre “pazienza” nel rendere consapevole l’imprenditore, compiendo insieme a lui il cammino verso una nuova produttività legata passo passo ai risultati di crescita.
Grazie ad uno studio condotto dall’Università di Verona, è stato individuato il profilo del Consulente (Paziente) ideale per le imprese improduttive e per timing di mercato e di sviluppo che stiamo vivendo, dando importanza non solo alle competenze tecniche, ma anche e soprattutto alle soft skills che permettono di sviluppare relazioni di fiducia, fondamentali per poter approcciare con il reticente piccolo imprenditore, da considerare come persona fisica e meno come soggetto giuridico. Per essere inseriti nella Community, i Consulenti devono seguire un processo di selezione qualificato, che fornisce un quadro completo di ogni candidato grazie all’utilizzo di strumenti scientifici d’indagine, analizzando variabili psicoattitudinali, tra le quali hanno un grande peso la pazienza e l’empatia.
“Si tratta di una sorta di democratizzazione della consulenza e dei servizi strategici per l’innovazione, che così diventano più accessibili anche per le piccole realtà – Aggiunge Marco Travaglini – La chiave, infatti, non è tanto una questione di processo, in quanto gli imprenditori sanno fare il loro prodotto, ma quanto di progetto per innovare. In Italia abbiamo tutti idee nuove ma per metterle a terra occorrono persone che siano adatte da un punto di vista manageriale ed emotivo-relazionale, e che sappiano determinare e attuare la scelta giusta con l’imprenditore. C’è bisogno di velocizzare l’accesso a tutto ciò che può creare valore aggiunto, dalle metodologie, agli strumenti, alle persone, per eliminare barriere di ogni genere verso l’innovazione. Per questo serve una categoria di soggetti adatta e specifica, unita e rappresentata da qualcuno”.
Consulente Paziente si pone come una guida al cambiamento per le mPMI con focus solo sul prodotto, che non hanno la capacità di fare strategia, lavorare per processi, comunicare e accedere al credito, componenti essenziali oggi quanto il prodotto, aiutando gli imprenditori a generare la giusta consapevolezza sia dello stato in cui si trova la loro azienda, sia delle opportunità esistenti di crescita, sia di quelle potenziali di sviluppo futuro. Solo con queste basi può essere promosso un concetto di innovazione successiva, tecnica e tecnologica che, prima di tutto, deve essere strategia organizzativa e culturale.
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