LATINA – Il mental coaching è una professione che sta prendendo sempre più piede anche in Italia, nel mondo dello sport, nelle aziende e nella vita di tutti i giorni.

Chi di noi, in fondo, non desidera vivere senza stress, raggiungere i suoi obiettivi e aumentare le performances lavorative, o sportive? Il coaching è una professione che si occupa esattamente di questo.

Se non riesci a mettere a fuoco i tuoi obiettivi, a superare gli ostacoli che ti bloccano, non riesci ad affrontare il cambiamento, o hai delle potenzialità inespresse, probabilmente hai bisogno di un mental coach. Ma di uno serio, è fondamentale.

Il coaching è una professione che nasce alla fine degli anni Settanta proprio nel mondo dello sport, dall’intuizione del tennista Timothy Gallwey. In Italia, però, ne è stata scoperta l’utilità solo negli ultimi anni, tanto che sempre più aziende, team sportivi e atleti hanno chiesto il supporto di un mental coach da affiancare alla formazione e alla preparazione tradizionali.

E, a ben vedere, hanno fatto la scelta giusta.

In effetti, La British Psychological Society ha dimostrato che inserire un allenamento mentale mirato e professionale, nel percorso di un atleta, può portare a un miglioramento delle prestazioni sportive come minimo del 57%. Mentre uno studio dell’International Personnel Management Association, pubblicato già nel 2002 dal Financial Time, ci dice che la produttività aziendale migliora del 22% con la sola formazione e dell’88% con il coaching.

E anche grandi professionisti ne sono convinti. Rafael Nadal, tanto per citarne uno, ha detto “La forza mentale distingue i campioni dai quasi campioni”.

Oggi nel mondo ci sono varie scuole e ideologie di coaching, ma ciò che garantisce un’alta qualità di formazione e di prestazioni professionali, sono certamente le federazioni, grazie ai loro rigidi codici etici e a complessi esami di certificazione. Tra tutte, la più importante e diffusa al mondo, con oltre 30.000 membri in più di 140 nazioni, è la International Coach Federation (ICF).

«Oggi è quanto mai importante affidarsi alla qualità e saper riconoscere un vero coach. Non solo perché la parola “coaching” ora va di moda, e molti si improvvisano tali, ma anche perché si tratta di una professione delicata, che richiede una preparazione specifica, una continua formazione e un’approfondita conoscenza della mente umana.» A dirlo è Roberto Tartaglia, coach professionista di Latina, membro della International Coach Federation, specializzatosi in life, sport e wellness coaching proprio con il metodo “Inner Game” di Timothy Gallwey, e fondatore di www.sereniefelici.it, sito web ricco di informazioni interessanti, sia sul come affrontare i problemi quotidiani, sia sul mondo del coaching che sul funzionamento della nostra mente.

Ma come si riconosce il vero coaching?

Sul sito della International Coach Federation si dice che il coaching è una professione che consiste nell’aiutare le persone a fare cambiamenti positivi, a raggiungere il loro pieno potenziale attraverso un processo stimolante e creativo. Per molti, il coaching è un’esperienza che cambia la vita, che migliora radicalmente la loro visione del mondo e di se stessi, si legge, il coaching aiuta le persone ad attingere al loro potenziale, liberando fonti di creatività.

Tirando le somme, dunque, il coaching non è terapia, perché non si occupa di ciò che è clinico, non è formazione, perché il coach non dà consigli, né insegna qualcosa, e il coach non è un motivatore, perché il vero coach non si limiterà a dirti che sei il più forte. La motivazione, l’autostima e tante altre belle sensazioni arriveranno, ma come conseguenza di una presa di coscienza delle proprie potenzialità, strategie e soluzioni. E, a pensarci bene, ha senso: in fondo, a che serve dire a qualcuno che è il migliore, se poi non ha affrontato un percorso di introspezione e presa di consapevolezza che gli permetta di avere in mano tutti gli strumenti per superare i problemi e raggiungere i suoi obiettivi?

Ecco, la consapevolezza è un punto fondamentale del vero coaching, quella consapevolezza che deriva dallo sperimentare in prima persona e dal riflettere, perché è proprio grazie a essa e alla definizione di obiettivi ben delineati che questa professione permette di trasformare dei semplici desideri in risultati concreti. Come ha detto Sir John Withmore, tra i padri fondatori del coaching moderno: “Sono in grado di controllare solo ciò di cui sono consapevole. Ciò di cui non lo sono controlla me. La consapevolezza mi dà forza.”

Ogni sessione di coaching è strutturata proprio per generare consapevolezza e far emergenze le proprie potenzialità inespresse, attraverso domande specifiche che il coach pone, al fine di permettere il superamento dei blocchi emotivi e delle convinzioni che ci limitano, ma anche attraverso il dialogo e attraverso esercizi mentali studiati su misura.

Una particolarità molto interessante del coaching è la totale assenza di giudizio e il massimo rispetto del cliente, che i coach chiamano “coachee”, o “partner di coaching”. Il coaching, infatti, è una sorta di camminata mano nella mano, dove a condurre il tutto è proprio il coachee. Il coach non giudica e ha il massimo rispetto del pensiero altrui, della privacy e delle capacità di ognuno. Un elemento, questo, che spesso viene dimenticato, anche da grandi professionisti: il rispetto per l’essere umano.

Sarà forse per questo motivo che il coaching sta prendendo piede anche qui in Italia, dove si avverte sempre più la necessità di modificare l’approccio mentale al lavoro, allo sport e alla vita.

Per chiudere, lasciamo la parola proprio a colui che il coaching lo ha creato, Timothy Gallwey: “La capacità di focalizzare la mente è la capacità di non lasciarla correre via con te. Non significa non pensare, ma essere colui che dirige il proprio pensiero”.


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