ROMA- Piazza Cavour, ieri, era assiepata di giornalisti, telecamere e microfoni. Il “Palazzaccio” si sarebbe espresso sul procedimento simbolo dell’era Pignatone e denominato, con una infelice trovata comunicativa, “Mafia Capitale”.
Bene, la Cassazione ha sostanzialmente dato ragione ai giudici di primo grado che, nel lontano 2017, smontarono l’impianto accusatorio della Procura capitolina. “Delinquenza da strada”, così la definisce la sesta sezione della Corte. Dunque i Pm sbagliarono a definire “mafia” ciò che invece si profilava soltanto come delinquenza comune.
Intendiamoci, con questo non intendiamo minimizzare o giustificare la portata criminosa dei reati ascritti a Buzzi e Carminati, tuttavia il legale del “Cecato” avrà buon gioco e persino il diritto di chiedere che al suo assistito venga revocato il regime del 41 bis che attualmente sconta nel carcere di Sassari.
Sotto una Cassazione infuocata, vuoi per la calura da inizio estate che invade Roma, vuoi per i capannelli un po’ cialtroneschi e ridicoli dei “politici” o presunti tali lì sotto in ginocchio ad attendere il responso degli ermellini, quasi si trovassero presso l’oracolo di Delfi, è andata in scena la completa sconfessione della litania sempre replicata dei “professionisti dell’antimafia”, dei santoni laici ossessionati dalla coppola e pure dalla lupara.
I vari Travaglio, persino qualche rock star della chiesa militante su fino ad un indecoroso Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia a far da scorta ad una imbarazzante Virginia Raggi.
Entrambi, dopo aver appreso della sentenza definitiva emessa dalla Corte, scuri in volto hanno dichiarato che “le sentenze si rispettano, ma questa è una pagina buia per Roma”.
Buffo, noi pensavamo che la pagina buia fosse rappresentata dallo sputtanamento planetario e a reti unificate che la Capitale d’Italia ha dovuto subìre in questi anni, con ricadute di immagine ed anche economiche. Voi investireste in un Paese la cui Capitale, il cui cuore pulsante sia infetto dal fenomeno mafioso?
Basta ipocrisie! Certo, la mafia è ovunque vi sia il danaro e la possibilità d’infiltrarsi. C’è a Milano come a Palermo. Anche a Roma, senza alcun dubbio ma non dappertutto. La Corte ieri ha contribuito a fare chiarezza: certamente mafia non poteva dirsi quel sistema messo in piedi tanto dalla cooperativa 29 giugno (fondata, come è utile ricordare, da Don Di Liegro) e la banda di Massimo Carminati.
Che tutto un sistema mediatico e persino il Presidente dell’Antimafia si prestino ad un coretto precipitoso quanto nefasto per l’Italia non fa onore a ciò che rimane di un grande Pese.
Un pensiero a Massimo Bordin (l’ex Direttore di Radio Radicale recentemente scomparso) che di questo processo si occupò molto bene arrivando, fin da subito, alle stesse conclusioni della Cassazione.
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