LATINA – Dopo venti anni, una Responsabile alle vendite era stata licenziata in tronco ed allontanata sull’errato presupposto che non fosse più idonea a svolgere le funzioni per le quali era stata assunta .
E così nel giro di pochi giorni con una serie di contestazioni disciplinari che evidenziavano gravi inadempienze sul posto di lavoro, la dipendente veniva licenziata ed allontanata dall’azienda.
Ricostruita la vicenda per i fatti realmente accaduti con l’ausilio del suo legale di fiducia e, sul presupposto che quel licenziamento nascondesse altre motivazioni, ovvero ragioni discriminatorie e/o comunque fosse affetto da una evidente sproporzionalità, la lavoratrice ha impugnato per il tramite dell’Avv. Fabio Leggiero, Giuslavorista del foro di Latina, il licenziamento, chiedendo il vaglio giurisdizionale del Giudice del Lavoro di Latina.
Espletata l’attività istruttoria e scrutinata la fattispecie sopposta al suo esame, alcuni giorni fa il Tribunale di Latina in funzione di Giudice del Lavoro dott.ssa Valentina Avarello ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento condannando l’azienda al risarcimento dei danni patiti dalla lavoratrice in ragione del provvedimento dichiarato ingiusto.
L’Avv. Fabio Leggiero che ha assistito la lavoratrice, commentando la sentenza ha dichiarato come il Tribunale in maniera corretta abbia accertato l’insussistenza del fatto che aveva determinato il licenziamento.
L’attività istruttoria richiesta dalla difesa della dipendente continua l’Avv. Leggiero ha smantellato l’impianto accusatorio ristabilendo prima di tutto la dignità di un lavoratore e poi ovviamente il suo diritto a vedersi dichiarato illegittimo l’intimato licenziamento con le conseguenze risarcitorie del caso.
Rileva l’Avvocato Fabio Leggiero che la sanzione disciplinare del licenziamento, ancorché derivante da comportamenti astrattamente meritevoli di licenziamento secondo la lettera della legge, non può mai derivare da automatismi e non può mai violare il criterio di proporzionalità imposta dalla legge all’art. 2106 c.c. e ripetutamente affermato anche recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione.
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