L’etica del viandante di Umberto Galimberti

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L’etica del viandante di Umberto Galimberti                 Introduzione

La filosofia non è un sapere, ma un atteggiamento, un atteggiamento di chi non smette di fare domande e di mettere in crisi tutte le risposte che sembrano definitive. Per questo l’atteggiamento filosofico è la macchina capace di inventare il mondo possibile al di là del mondo reale.
(Umberto Galimberti)

 Il nuovo libro, L’etica del viandante (Feltrinelli editore), l’ultima fatica letteraria e speculativa di Umberto Galimberti, filosofo molto apprezzato, non solo in Italia, per il rigore critico e per il piglio narrativo, è dedicato al percorso dell’uomo contemporaneo che vive completamente immerso nel mondo della tecnica ed è caratterizzato dal suo essere nomade, viandante.

Le parole chiave di questo poderoso saggio, articolato in cinque parti che costituiscono la summa del pensiero filosofico e psicanalitico di Galimberti, frutto di una decennale ricerca filosofica di spessore, sono: etica, intesa come forma dell’agire in vista di fini, e viandante che non ha scopi escatologi.

L’interessante saggio di Galimberti, ricchissimo di sollecitazioni, molto impegnativo per la mole e per le idee che esprime, è rivolto a chiunque sia interessato all’universo etico e tecnico che ci circonda. In questo libro il celebre intellettuale porta i suoi lettori alla scoperta di una nuova concezione dell’essere umano, il viandante.

Nel corso della trattazione delle idee portanti del libro, l’autore si sofferma sul ruolo della tecnica nella società contemporanea e sul perché sta creando sempre più angoscia e inquietudine nella maggior parte delle persone. L’autore invita il lettore a tener conto e a riflettere sul concetto di tecnica, termine con il quale «s’intende sia l’universo dei mezzi (le tecnologie), che nel loro insieme compongono l’apparato tecnico, sia la razionalità che presiede il loro impiego in termini di funzionalità ed efficienza. La razionalità tecnica consiste nel conseguimento del massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi». Nonostante la sua apparente semplicità, questa razionalità è la più alta e la più stringente, mai raggiunta nella storia dell’uomo.

Oggi la tecnica, con la sua potenza innovativa, non è più un mezzo ma un fine, un mondo, afferma inequivocabilmente Galimberti. La tecnica non è la semplice applicazione dei risultati scientifici, ma è essenza della scienza.  Nel contemporaneo dibattito sulla tecnica il saggio offre nuovi spiragli di analisi, di studio e di riflessione dal punto di vista filosofico e antropologico.

L’età della tecnica, che strappa e sradica l’uomo sempre più dalla Terra, obbliga a rivedere quei concetti che portano il nome di individuo, identità, libertà, cultura di massa, mezzi di comunicazione, salvezza, verità, ragione, senso, scopo, e anche quelli di natura, etica, politica, democrazia, religione, storia di cui si nutrivano, seppure in forme diverse, sia l’antichità sia la modernità, e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati dalle radici.

Il mondo della tecnica è ora regolato dal fare come pura produzione di risultati e assume come sua etica che «si deve fare tutto ciò che si può fare». Oggi è la tecnica che subordina uomo e natura alla propria razionalità.

L’unica etica possibile, sostiene Umberto Galimberti, è quella del viandante che, a differenza del viaggiatore, non ha meta. Il suo percorso nomade è tutt’altro che un‘anarchica erranza poiché si fa carico dell’assenza di uno scopo.

E inoltre l’autore afferma che: «Se la tecnica non ci consente di pensare la storia inscritta in un “fine”, l’unica etica possibile è quella che si fa carico della pura “processualità” che, come il percorso del viandante, non ha in vista una meta. […] Non più il “dovere” che prescrive il “fare”, ma il “dovere” che deve “inseguire” e fare i conti con gli effetti già prodotti dal “fare”. Ancora una volta è l’etica a dover rincorrere la tecnica e a doversi confrontare con la propria impotenza prescrittiva».                                                   

L’etica del viandante si oppone all’etica antropologica basata sul dominio della Terra. Oggi l’uomo è consapevole di non essere al centro, ma di essere solo ai margini di una galassia tra le molte che occupano uno spazio smisurato. L’uomo deve pensarsi non come padrone della natura, ma come una espressione della natura. Infatti il biocentrismo è quella concezione che mette al centro non l’uomo (antropocentrismo) ma la vita, e che pertanto l’uomo è uno dei tanti viventi che la natura genera senza alcun primato rispetto agli altri viventi, vegetali e animali, che, al pari dell’uomo occorre rispettare.

A differenza del viaggiatore, il viandante ha rinunciato alla meta, sa guardare in faccia l’indecifrabilità del destino e invita ogni essere umano ad esporsi all’insolito.                 Il viandante spinge avanti i suoi passi, non più con l’intenzione di trovare qualcosa, la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza, ma cammina per non perdere le figure del paesaggio. Galimberti denuncia il nostro modello di civiltà e mette in evidenza che la sua diffusione in tutto il pianeta equivale alla fine della biosfera.

L’umanesimo del dominio è un umanesimo senza futuro. Il viandante percorre invece la terra senza possederla, perché sa che la vita appartiene alla natura. Chiosa Galimberti: «L’etica del viandante avvia a questi pensieri. Sono pensieri ancora tutti da pensare, ma il paesaggio da essi dispiegato è già la nostra instabile, provvisoria e incompiuta dimora» da salvaguardare perché ci è concesso di vivere.

L’umanesimo planetario, proposta formulata per la prima volta dal sociologo francese Edgar Morin, richiede l’emergere di una cultura e di una etica planetaria, dove non l’uomo, ma la vita della Terra diventa la misura ultima di tutte le cose.

L’umanità deve difendersi da sé stessa, dagli attacchi indiscriminati che rivolge alla Terra affinché resti ancora abitabile dalla specie umana. Perché possa realizzarsi una etica planetaria è necessario riproporre il concetto di fraternità che, intesa come la versione laica dell’amore per il prossimo, annunciato dal cristianesimo, è alla base dell’etica cosmopolita. Questa etica, fondata su una cultura ecologista, impone che la vita in tutte le sue forme sia rispettata e che la Terra sia considerata la patria, la casa di tutti gli esseri viventi da salvare.

 


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