L’etica del viandante

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L’etica del viandante di Umberto Galimberti                                                       (Parte seconda e terza)

La tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile,  dove la domanda non è più “che cosa possiamo fare noi con la tecnica”,  ma “che cosa la tecnica può fare di noi”.  (Günter Anders)

Nella seconda parte dell’acuto e colto volume di Umberto Galimberti L’etica del viandante l’autore, spaziando dalla filosofia alla psicologia, dalla letteratura alla storia, consegna al lettore un libro che si sofferma sulla Tecnica e il grande capovolgimento.

Il pensiero del filosofo tedesco Günter Anders, riportato in esergo, conferma il grande capovolgimento che si è verificato nella nostra epoca, dove la “regia” non è più nelle mani della politica e dell’etica ma nella tecnica che è la condizione essenziale e indispensabile per l’esistenza umana.

          La tecnica, insita nell’essenza stessa dell’uomo, è all’origine della vicenda umana come condizione imprescindibile dell’esistenza e consente di superare il dualismo antropologico di anima e corpo inaugurato da Platone, e poi acriticamente assunto dal pensiero occidentale che ha sempre pensato distinti dal corpo l’intelletto, l’anima, la ragione, la coscienza e lo spirito.

          Oggi la tecnica non è più un semplice mezzo dell’attività umana, ma un mondo in cui abita l’uomo, è uno strumento a sua disposizione per dominare la natura che può essere impiegato, nel bene e nel male, a seconda delle decisioni umane. Oggi c’è un capovolgimento del rapporto uomo-tecnica denunciato da Heidegger.

La tecnica oggi da mezzo diventa fine perché tutti gli scopi, che gli uomini si propongono, si raggiungono solo attraverso la mediazione tecnica. La tecnica è la condizione universale per la produzione di qualsiasi bene. Solo i mezzi giustificano i fini. La fabbricazione di mezzi è diventata lo scopo della nostra esistenza.

Un primo capovolgimento del mezzo in fine è avvenuto già con Marx a proposito del denaro che, diventando la condizione universale per soddisfare i bisogni, non è più un mezzo ma un fine. Ciò si è verificato quando rispetto al primato della natura è progressivamente subentrato il primato del mercato. Infatti, nel mercato il bene, che inizialmente serviva per la soddisfazione dei bisogni, serve per la produzione del denaro,  che come mezzo, per soddisfare bisogni e produrre beni, diventa il fine. A questo punto i beni diventano merce, il cui valore è deciso dal mercato (processo di reificazione). La sorte umana resta subordinata alla sorte della merce.

          Anche per il filosofo Emanuele Severino il mezzo tecnico è la condizione necessaria per realizzare qualsiasi fine, che non può essere raggiunto prescindendo dal mezzo tecnico; il conseguimento del mezzo diventa il vero fine che tutto subordina a sé. Gli strumenti sono mezzi per la realizzazione di scopi.

          Un secondo capovolgimento è avvenuto con Hegel per il quale il mezzo è qualcosa di superiore agli scopi e il primato assoluto degli strumenti, rispetto ai beni, è determinato dall’incremento quantitativo dei mezzi che produce un mutamento qualitativo. Il mezzo tecnico si autonomizza da qualsiasi fine e diventa il primo fine.  La tecnica si sostituisce all’uomo e secondo Heidegger lo sradica sempre più dalla Terra.

          Nella terza parte Galimberti si sofferma su «La risoluzione del mondo-della vita nel mondo della tecnica», partendo da una citazione del filosofo tedesco Karl Jaspers: L’uomo diventa abitatore della terra senza patria, e afferma che «la tecnica ha radicalmente trasformato l’esistenza quotidiana dell’uomo nel suo ambiente; ha costretto modalità di lavoro e società in nuovi binari».

          Per Heidegger la tecnica non è la semplice applicazione dei risultati scientifici, ma è l’essenza della scienza; pertanto non ci troviamo più dinanzi a un pensiero che pensa, ma a un pensiero che calcola. Per il filosofo tedesco nell’età della tecnica e della ragione la verità non è solo manifestazione dell’ordine naturale, ma anche forma di dominio che l’uomo ha esercitato sulla natura e l’essenza della verità, non più mitico-poetica e retorico-sofistica del mondo greco, e scientifica del mondo moderno cartesiano e kantiano, è l’efficacia delle idee e delle azioni.

Nell’età pre-tecnologica la tecnica era ancora uno strumento nelle mani dell’uomo, mentre oggi è la tecnica a impiegare l’uomo per le sue esigenze di funzionalità. L’uomo diventa un funzionario dell’apparato tecnico e il mondo-della vita è generato e reso possibile dall’apparato tecnico, per cui l’uomo è presso di sé (identità) solo in quanto è funzionale all’altro da sé (la tecnica).  L’uomo si identifica con la razionalità della tecnica i cui criteri sono la produttività e l’efficienza, unici valori riconosciuti dall’apparato tecnico. E dal dominio dell’uomo sull’uomo si passa al dominio della razionalità impersonale del sistema economico e tecnico su tutti gli uomini.

La razionalità della tecnica nasce dal rifiuto dell’esperienza sensibile che caratterizza l’atto di nascita del pensiero occidentale che deve a Platone il suo modo di pensare. La filosofia moderna, da Cartesio a Kant, non abbandona il mondo platonico delle idee (l’Iperuranio), semplicemente lo riformula nella ragione matematica ideata dalla mente umana. E la filosofia moderna anticipa e prepara il terreno alla razionalità tecnica.

La tecnica dà forma al mondo-della vita che si esprime solo nella modalità predisposta dalla tecnica. E ciò che caratterizza l’essenza della tecnica è la logica del dominio che si estende dalla natura all’uomo, vincolando la società a una pratica di comportamenti definibili in termini di strumentalità, funzionalità ed efficienza.

Si tratta del dominio della razionalità della tecnica che consiste nel raggiungimento ottimale degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi. Oggi è la tecnica che subordina uomo e natura alla propria razionalità e il mondo-della vita diventa semplicemente il luogo in cui le procedure tecniche verificano, in termini di efficienza, il loro grado di razionalità.

Ma l’uomo oltre alla razionalità possiede anche una dimensione irrazionale, costituita dal dolore, dall’amore, dall’immaginazione, dalla fantasia che sono dimensioni che fanno sì che un uomo è un uomo.

 

 

 

 

 

 

 


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