Le metafore del Coronavirus nell’emergenza sanitaria

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Le metafore del Coronavirus nell’emergenza sanitaria

Lo spirito della nostra epoca disprezza ciò che è semplice. Non crede più che la semplicità possa corrispondere a profondità. Si compiace di ciò che è complicato e lo considera profondo.     Albert Schweitzer (medico Premio Nobel per la Pace, 1952)

         Durante questo periodo di pandemia, per raccontare, descrivere e comprendere, analizzare e riflettere su questo avvenimento unico dell’attuale tempo storico, uomini politici, scienziati, ricercatori, intellettuali, giornalisti, commentatori radiofonici e televisivi hanno adoperato nei loro discorsi e nei loro scritti,  talvolta in maniera corretta e talvolta in modo inappropriato, espressioni metaforiche.

La metafora, come figura retorica molto utile nella vita quotidiana per esprimere idee e sentimenti, è fondata sul meccanismo del «trasferimento del significato» per mezzo del quale si esprimono opinioni e pensieri meno noti, facendo riferimento a un concetto o a un’immagine o a una realtà più conosciuta e familiare. La metafora è necessaria alla scienza, tanto quanto è necessaria alle attività artistiche; è un modo per riuscire a costruire una forma di analogia, per comprendere, indirettamente, ciò che non sarebbe altrimenti comprensibile.

In genere ogni essere umano produce due linguaggi a partire dalla sua lingua: un linguaggio razionale, empirico, pratico e tecnico che tende a precisare, dimostrare, definire e un linguaggio simbolico, mitico, magico che utilizza la connotazione, l’analogia, la metafora. Nell’odierna situazione il linguaggio espressivo e comunicativo umano, legato all’emergenza e alla crisi sanitaria, economica, politica, sociale, si è servito di numerose, e talvolta fantasiose e stravaganti, metafore di natura bellica, scientifica, medica, storica, geografica, letteraria, artistica, politica, giuridica e antropologica.                                          

La più gettonata metafora è stata quella bellica che fa riferimento alla battaglia, al nemico, alla prima linea, alla trincea, alla frontiera, all’avanzata, all’agguato, alla sconfitta, alla vittoria, alla resa, alla ritirata, alla tregua… Per fornire solo degli esempi ricordiamo le metafore utilizzate dal premier francese Emmanuel Macron che, in un discorso ufficiale pronunciato il 16 marzo, si è servito dell’espressione Nous sommes en guerre (noi siamo in guerra), dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ha usato in suo discorso alla nazione la parola Kampf  (battaglia) e dal premier italiano, Giuseppe Conte (il 17 marzo 2020) che in un tweet, in riferimento al virus che miete vittime, ha adoperato il termine nemico invisibile e subdolo, enigmatico e misterioso da combattere senza tregua.

Il gergo bellico, soprattutto all’inizio dell’evento, ha dominato la narrazione di questo avvenimento improvviso e catastrofico rendendo ogni uomo e donna più consapevole della caducità e fragilità umana. Per alcuni si è voluto paragonare la situazione dell’epidemia alla guerra, pur non essendoci alcuna mobilitazione militare; in guerra l’altro è il nemico, in carne e ossa, l’altro invece nell’attuale situazione è il virus, invisibile all’occhio umano. Immaginare quello che è avvenuto come una guerra potrebbe essere un ostacolo all’analisi, alla riflessione e alla comprensione dell’evento stesso.

Con la pandemia del Covid-19 il linguaggio ci ha riportato a sentire espressioni metaforiche del passato, acquisite nel periodo della nostra formazione scolastica, come la paura degli untori, in riferimento ai sospettati diffusori del contagio durante la peste secentesca di Milano (1630) rievocata da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, come il lazzaretto luogo di desolazione e terrore, dove anticamente venivano ricoverate in isolamento persone colpite da malattie infettive contagiose.

Altre espressioni metaforiche di natura scientifica hanno riguardato l’ambiente, i territori, i confini, le zone da limitare, il terremoto, il maremoto (la nave in tempesta).  Con la metafora sismica, infatti, si è parlato di epicentro dell’epidemia che in Italia si è localizzata nella martoriata regione lombarda, in particolare nelle città di Bergamo (Ospedale Giovanni XXIII), Brescia, Cremona, Lodi, e in Veneto (Cotogno, Vho ), in Piemonte e in Emilia-Romagna (Piacenza).

Con la metafora giuridica sono state utilizzate espressioni rispetto delle regole, obblighi, autodisciplina o come killer per definire il  virus  assassino che uccide e persegue le persone più deboli, oppure gli arresti domiciliari  per indicare la misura obbligatoria di restrizione di movimento e di circolazione e quindi di isolamento e detenzione nel proprio domicilio.

Altre metafore,  prese in prestito dall’antropologia, come riti, stili di vita, abitudini, gruppi sociali, comportamenti asociali, sono state utilizzate per descrivere, invitare, obbligare le persone ad assumere atteggiamenti e condotte di vita adeguate alla situazione di crisi sanitaria. In questo singolare periodo di emergenza, molte metafore legate alle scienze umane e sociali fanno riferimento a tradizioni, leggende, rimandi storici, religiosi e filosofici o accostamenti a racconti letterari, all’arte e alla musica.

Servendoci di linguaggi metaforici si è ampliato e nello stesso tempo semplificato la conoscenza della realtà adeguando così al noto ciò che non si conosce bene e che non è facilmente comprensibile. Attraverso il trasferimento di significato, con le metafore, si è voluto mettere in rilievo alcuni aspetti della realtà che spaventa e non si padroneggia. Forse aveva ragione lo scrittore Guido Ceronetti quando scriveva: «La saggezza delle parole serve ad alleviare almeno un po’ la pena del mondo».


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