Sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto “più in là”. Eugenio Montale
Durante questo lungo e pesante periodo di pandemia siamo stati, e siamo ancora, continuamente inondati da immagini che sono apparse, e appaiono, ogni giorno sui giornali, sui teleschermi, sui nostri smartphone e sulla rete. Siamo investiti in ogni istante da un flusso di immagini inquietanti, forse anche eccessivo, che modificano la percezione del presente e influenzano e incidono sulla rappresentazione di ciò che sta accadendo intorno a noi. Molti, consapevolmente o anche in maniera inconscia, trascorrono gran parte della vita a decifrare e a interpretare i messaggi iconici provenienti dal mondo circostante. Nella nostra società mediatica l’enorme produzione e diffusione di immagini è finalizzata a comunicare valori, idee e credenze a persone diverse per età, per ceto sociale, per formazione culturale e a trasmettere messaggi significativi che incidono sul nostro immaginario individuale e collettivo.
L’universo emotivo, sentimentale e razionale di uomini e donne, di giovani e vecchi, è nella nostra epoca decisamente caratterizzato e influenzato dall’ingente presenza di immagini che, colte o percepite immediatamente in questo contesto di allarme sanitario, svolgono funzioni diverse in quanto ci esortano ad assumere atteggiamenti corretti, ci danno avvertimenti per essere prudenti e attenti al virus. Le immagini, con la loro forza prorompente e incisiva, arrivano a descrivere e a narrare fatti e vicende con maggior efficacia comunicativa perché raggiungono con immediatezza e in profondità le nostre menti, il nostro animo. Nel periodo iniziale dell’emergenza globale sanitaria moltissime e potenti sono state le immagini significative, le fotografie diventate simbolo, messe in circolazione per raccontare la cronaca degli avvenimenti tristi e angoscianti che, giorno dopo giorno, si stavano prepotentemente imponendo all’attenzione di noi italiani e di tutto il mondo occidentale. Le immagini fotografiche, con diverse e precise inquadrature, hanno fissato i fatti unici e irripetibili di quei momenti frenetici di interventi sanitari su una realtà improvvisa e dinamica, inaspettata e imprevedibile. Chi non ricorda la drammatica fotografia, diventata virale della lotta al Coronavirus, dell’infermiera dell’ospedale di Cremona che, affranta dal lavoro continuo, è crollata stremata dai continui turni di lavoro consecutivi per arginare l’emergenza?
Questa immagine è servita per far comprendere a tutti noi gli sforzi profusi e la gravità del momento sanitario nel combattere l’epidemia e nello stesso tempo l’impegno professionale ed etico, generoso e titanico del personale medico e infermieristico, della protezione civile e del volontariato per portare soccorso ai contagiati del Covid-19. Accanto a questa potente icona sono da accostare anche le immagini della vestizione del personale sanitario, simile a dei marziani, per entrare nei reparti di terapia intensiva.
Chi mai potrà dimenticare l’uscita silenziosa e notturna dei camion militari, illuminati dai lampioni del cimitero di Bergamo, per trasferire i feretri dei contagiati da Coronavirus verso altre città italiane, poiché il cimitero della città non riusciva più ad accogliere, a contenere e a gestire le salme per la cremazione? Queste raccapriccianti, drammatiche e indimenticabili immagini sono forse state utili perché gli italiani, e non solo, potessero apprezzare l’importanza della solidarietà generosa di molti professionisti e capire fino in fondo l’aspetto fragile, vulnerabile e tragico dell’esistenza umana e nello stesso tempo di avere paura del contagio e dell’assoluta importanza di salvaguardarsi e di proteggersi, rimanendo chiusi in casa, lontani da ogni forma di avvicinamento sociale?
Altre immagini sconcertanti sono state, e sono tuttora, le fotografie che ritraggono le persone anziane, i vecchi ricoverati nella case di riposo che esprimono dignitosamente la tristezza per la solitudine e l’abbandono. Questo toccante racconto iconico ci porta a riflettere sul tipo di società che abbiamo costruito e a meditare le parole che il “maestro” Franco Ferrarotti ha scritto: «Un tempo i vecchi erano considerati una risorsa, erano i guardiani della memoria, la garanzia, quasi l’anello che assicurava la congiunzione significativa fra le generazioni». Ma l’immagine più suggestiva ed evocativa con la sua forza espressiva e comunicativa che rimarrà scolpita nella memoria di tutti (bambini, adolescenti, giovani, adulti e vecchi di ogni continente) e che sicuramente passerà nei futuri libri di storia, è senza alcun dubbio la sequenza di immagini che riprende, in estrema solitudine, il papa Francesco mentre cammina sul sagrato della basilica di San Pietro, con la piazza vuota, per andare a pregare in silenzio davanti al Crocifisso, per la fine della pandemia.
Questa singolare immagine, scaturita dalla telecronaca in mondovisione, unitamente alle brevi parole pronunciate (Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori), ha fissato un momento “storico”, unico e irripetibile, ha avuto una ripercussione mediatica globale in ogni angolo del pianeta e ha scosso la coscienza di molti credenti e non credenti. L’insieme di queste emblematiche immagini dimostrano l’importanza della «cultura della visibilità» che oggi privilegia l’esperienza visiva rispetto agli altri tipi di conoscenza e di esperienza.
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