di Gian Luca Campagna – Latina è una città letteraria. Concetto che non è determinato dal fatto che vi siano molte persone che si dilettano a scrivere (o che siano degli scrittori), ma perchè è una città che inquieta, che non pacifica. Infatti, è il senso dell’inquietudine che smuove lo scrivente, se fosse una città piatta, analgesica, di certo non genererebbe quei rapporti conflittuali che tutti noi nutriamo nei suoi confronti. Un rapporto di odio e amore, per intenderci, che richiama a sentimenti forti come già espressi dalla poetica catulliana, quanto mai attuale, come del resto è tutta la produzione letteraria classica.
Ho seguito con interesse la presentazione del libro di Pietro Antonelli, ‘Littoria/Latina, la città di nessuno’ per una serie di motivazioni. A Pietro va la mia gratitudine perché è nella palestra del suo settimanale ‘La Piazza’ che ho esercitato le mie sperimentazioni giornalistiche, poi perché il titolo abbraccia per il lettore la fascinazione già nella tematica, espressa in modo vivace anche negli interventi dell’autore, quando ha precisato “che Latina è la città dell’individualismo”, concetto che ha messo d’accordo tutta la platea. Anche se poi, già che siamo tutti d’accordo su questo concetto, perché ci si ostina ad autodefinirci ancora la città dell’individualismo? Vabbè, è stato uno dei tanti ossimori della serata.
Avrei voluto intervenire, ma forse avrei rovinato la giornata di festa di un autore che presentava il suo libro. E questo è di per sé poco carino. Tutti siamo concordi nel definire Latina città anaffettiva. Ma qualcuno arrivando a questa definizione che rispecchia la realtà ne è lui stesso il generatore. Ancora una volta si addita come il periodo della bonifica idraulica, volgarmente noto anche come il periodo del regime fascista del duce Benito Mussolini, un periodo estremamente buio, dettato dalla retorica nostalgica. Quel periodo, per intenderci, in cui Littoria poi Latina è sorta il 30 giugno 1932, per poi essere inaugurata il 18 dicembre. Beh, sgomberiamo un attimo dubbi ed equivoci (anche legittimi, siamo tutti, sempre, in discussione. Non stimo chi non si pone in discussione, mi terrorizza, non è aperto naturalmente al confronto): non ho mai avuto tessere di partito, anarchico e gitano per estrazione, definizione e adozione, figlio (felice e affascinato) di un mondo multietnico e multiculturale, guardo a quel periodo storico della città in cui sono nato con occhi liberi, scevri da vedute parziali, orizzonti cui ancora una volta si fermano però gli altri, quelli che poi definiscono a gran voce Latina città anaffettiva. Se ancora definiamo il periodo fascista della città, in cui è nata eh, come una sorta di peccato originale marchiato sulla nostra pelle, come se noi figli (ignari) dovessimo pagare le responsabilità del Padre, come un arco temporale negativo, a differenza del ‘fulgido’ Dopoguerra (che ha visto lo scempio urbanistico in città e la devastazione eterna della Marina), beh siamo noi stessi anaffettivi. C’è stato un sindaco, Damiano Coletta, ieri presente al tavolo dei relatori, che ha discettato di inclusività (?!) e di senso d’appartenenza (?!), seppure poi lo scorso 18 dicembre nel discorso della celebrazione dell’84° anno della città ha dichiarato che Littoria è stata realizzata dalle università agrarie di Sermoneta, Bassiano e Cisterna non arrivando a riconoscere gli sforzi oggettivi del regime fascista: beh, già questo è un atto di lesa maestà anaffettiva nei confronti della città. Fino a quando non osserveremo la storia della città con occhi neutri, fuori dalle omologazioni e dalle gabbie mentali, con visioni parziali e non dettate da una sintesi hegeliana, questa resterà, appunto, la città di nessuno.
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