Nella Commedia Dante ci appare come uno dei costruttori di cattedrali del medioevo […]La sua opera non è una summa, ma un numero primo indivisibile. Han Urs van Balthasar
Durante la sua vita Dante Alighieri ha celebrato i massimi teologi del suo tempo come Tommaso d’Aquino, Bonaventura e Bernardo di Chiaravalle e ha rivelato nei suoi versi una straordinaria “attrezzatura” filosofico-teologica, che ha stimolato anche i maggiori teologi del Novecento come lo scrittore/filosofo italiano naturalizzato tedesco, Romano Guardini (1885-1968), che ha scritto una serie di Studi su Dante, il teologo svizzero di Lucerna, Hans Urs von Balthasar ((1905-1988), che ha scritto un saggio intitolato Dante e la Divina Commedia.
Nella Divina Commedia c’è una consonanza profonda con il pensiero e la spiritualità di Agostino, il vescovo di Ippona. Dante condivide con Agostino lo smarrimento e il travaglio interiore in cui si trova all’inizio del suo viaggio ultraterreno, come Agostino traccia nelle Confessioni il proprio cammino alla ricerca di se stesso e della verità. La «selva oscura» di Dante può essere paragonata alla «regione dell’alterità» o della dissomiglianza di Agostino (regio dissimilitudinis, Confessioni VII, 10,16): concetto che deriva dalla filosofia di Platone e Plotino che esprime l’estraneità, il disordine, la disarmonia di chi, lontano da Dio, ha completamente perso ogni riferimento per la propria vita.
La Divina Commedia di Dante è una “summa” del pensiero e della cultura del Trecento perché da un lato risale alle radici classiche della nostra cultura, dall’altro apre una prospettiva sulle altre culture presenti nell’Europa del suo tempo. Dante, come “costruttore” di mondi aperti all’altro, è un filosofo che struttura le forme del suo pensiero caratterizzato dalla cristianità medievale.
Ha scritto il cardinale teologo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura e della Pontificia commissione di archeologia sacra, che «esistono capolavori imponenti, come la cattedrale poetica della Divina Commedia eretta con le 14.223 pietre marmoree degli endecasillabi dei suoi cento canti.
La memoria del nostro somma poeta, secondo il linguista, lessicografo e filologo Francesco Sabatini, ha permeato, nel tempo, la vita dell’intero nostro Paese. Alcuni versi della Divina Commedia, come quelli di Paolo e Francesca e di Ulisse (V e XXVI canto dell’Inferno), sono iscritti nella memoria dell’intera umanità.
Le celebrazioni del 1965, relative alla nascita di Dante, furono caratterizzate dalla edizione critica della Divina Commedia approntata dal bravissimo professore Giorgio Petrocchi, opera sulla quale ho sostenuto tre esami molto impegnativi (ognuno dei quali prevedeva una Cantica) nell’Università di Roma (Facoltà di Magistero).
Nella storia delle edizioni a stampa della Divina Commedia di Dante, il secolo XVI si apre con la prestigiosa edizione curata da Pietro Bembo per Aldo Manuzio (Venezia, 1502): essa costituisce il fondamento di tutte le altre edizioni dantesche, compresa quella della Accademia della Crusca. A seguire tutte le altre stampe del secolo, infatti, si limitano a correggere sporadicamente la stampa di Bembo.
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