L’angolo delle curiosità: Dante Alighieri

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Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. (Inferno, canto XXVI)

Dante il sommo Poeta è stato una personalità di vastissima cultura e di un acume reso ancor più raffinato dalla sensibilità, fede e spiritualità profonda, che lo hanno reso unico all’interno dalla storia dell’umanità, padre non solo della lingua italiana , ma di un linguaggio universale ricco di fantasie, di immagini, di esempi, di visioni grandiose, divenuto patrimonio di tutti.

La libertà di svariare dalla cultura pagana a quella cristiana, in una sintesi intelligente e creativa, fa toccare a Dante Alighieri le vette più alte della poesia.

Nel saggio introduttivo dell’edizione della Divina Commedia, pubblicata da Marsilio, il critico letterario Carlo Ossola, professore al Collège de France, ha scritto: «Se uno esce dalla Commedia com’era quando vi è entrato, vuol dire che non l’ha letta».

Nel V Canto dell’Inferno il sommo poeta, superato il Limbo, discende dal cerchio primario giù nel secondo, e lì si imbatte nei peccatori carnali, quelle persone che durante la loro vita hanno sottomesso la ragione alla passione. Fra i numerosi dannati due di loro, che sono trascinati e travolti dalla bufera infernale, catturano completamente l’attenzione di Dante e manifestano a Virgilio il desiderio di comunicare. Le due anime sono quelle di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Amanti, sorpresi sul fatto, furono uccisi da Gianciotto Malatesta, marito della donna e fratello di Paolo.

Francesca da Rimini è il primo dannato con il quale con Dante parla nel suo viaggio. Tra i due amanti il poeta si rivolge solo a lei e solo con lei interloquisce. Paolo è accanto a lei, sullo sfondo, ma non parla, si limita a piangere. Francesca anticipa la terribile pena divina che attende Gianciotto, uxoricida, e fratricida emerso eternamente nel lago ghiacciato del nono cerchio dell’Inferno. Il V canto si chiude con una figura retorica tra le più belle e famose mai scritte, «E caddi come corpo morto, cade» (v.142). Infatti il turbamento di Dante è così intenso che il poeta è sopraffatto e viene  meno.

Dante Alighieri, il padre della lingua italiana, è considerato anche un filosofo e un teorico politico. Nel canto X del Purgatorio ha scritto: «…non v’accorgete voi che noi siam vermi/nati a formare l’angelica farfalla / che vola alla giustizia senza schermi?». Questo «volar alla giustizia senza schermi» è stata la grande passione degli uomini onesti di tutti i tempi.

Dante Alighieri è stato un poeta, uno scrittore, un linguista, un uomo capace di andare oltre il proprio tempo per giungere fino a noi con una ricchezza intellettuale tale da esserci d’aiuto per comprendere il nostro stesso presente.

Alessandro Masi, segretario generale della Società Dante Alighieri, riflettendo sulla Divina Commedia ha scritto: «Poeta dell’esilio e del confino, Dante era stato simbolo di patrioti reclusi, di confinati, di sofferenti, di dispersi nel mare dell’odio delle guerre fratricide e in quegli degli uomini massacrati nei più terribile scenari di guerra. Il caso degli zaini ricolmi di versi della Commedia, è una realtà del primo conflitto mondiale che si ripeterà nel secondo, dove nei campi di reclusione Paolo e Francesca, Ulisse, il Conte Ugolino e molti altri personaggi dell’umana sofferenza dantesca fungeranno a modello di sopportazione del dolore inferto senza alcuna pietà».

A Roma nel Museo Vite di Internati militari italiani (Imi) vi sono testimonianze di una ricerca storica sulla presenza dell’opera dantesca fra i deportati, che indica quanto sia stato significativo leggere versi del sommo poeta nella più cupa disperazione.

 

 

 

 


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