La vitamina C o acido L-ascorbico (formula chimica bruta C6H8O6), la cui presenza è richiesta nella dieta dell’uomo, fu la terza vitamina ad essere scoperta (dopo le vitamine A e quelle del complesso B) grazie al chimico ungherese Albert Szent-Gyögyi, nel 1928. Isolata dalla paprika ungherese, che ne contiene in grandi quantità, il chimico Norman Hawort ne determinò poi la struttura chimica. A causa dell’importanza di questa sostanza che previene o cura lo scorbuto (da ciò deriva anche l’altro nome: acido ascorbico), una malattia antica dei marinai, nella cui alimentazione erano assenti frutta e verdura fresche, nel 1937, Albert Szent-Gyögyi ricevette il Premio Nobel per la medicina, e Norman Hawort quello per la chimica.
Essa viene preparata industrialmente secondo una serie di reazioni partendo dal glucosio C6H12O6, uno dei due costituenti (l’altro è il fruttosio) del disaccaride noto con il nome di saccarosio, il nome chimico dello zucchero. Il prodotto sintetico è uguale, in tutto e per tutto, a quello naturale. Quest’ultimo però è molto più costoso del primo. L’assunzione di vitamina C attraverso la frutta o la verdura, ovviamente, ha un effetto più benefico di quella sintetica, in quanto la presenza di altre sostanze naturali ne agevola l’assorbimento da parte dell’organismo o ne migliora gli effetti salutari. Ne vengono prodotte oltre cinquantamila tonnellate annue nel mondo, valore in continua crescita, e questo può far riflettere sull’introito economico da parte delle aziende produttrici.
La vitamina C, dunque, è un composto organico molto diffuso in natura, solido bianco, che, quando cristallizza resiste all’ossigeno atmosferico, alla luce solare e al calore, mentre in soluzione acquosa viene ossidato all’aria, processo in cui si trasforma in acido deidroascorbico tanto più velocemente quanto maggiore è il pH; è anche idrosolubile (assieme alle vitamine del complesso B), cioè si scioglie nell’acqua, e quindi nella frutta e nella verdura: per 100 g di parte edibile, le fave e i piselli ne contengono circa 30 mg (un milligrammo è pari a un millesimo di grammo), i peperoncini piccanti circa 230 mg, i peperoni e il prezzemolo intorno a 160 mg, il succo d’uva circa 340 mg, il ribes 200 mg, il kiwi 85 mg, le fragole, i limoni e le arance intorno a 50 mg.
Essa, inoltre, ha proprietà antiossidanti e presenta una serie di funzioni biochimiche nell’organismo: opera su diversi enzimi (biocatalizzatori) attivandoli, come l’arginasi, o inibendoli, come l’ureasi; agisce nel metabolismo degli amminoacidi aromatici; aumenta la resistenza naturale alle malattie infettive, fa diminuire la tossicità di alcune sostanze velenose, come il benzene o il tricloroetilene; ha diverse proprietà antiallergiche. La quantità minima per prevenire lo scorbuto in una persona adulta è di 10 mg al giorno, mentre la dose giornaliera consigliata aumenta con l’età: nel lattante è mediamente 35 mg al giorno, nell’uomo adulto e nella donna 60 mg, mentre alle gestanti se ne consigliano 70 mg e alle nutrici fino a 90 mg (le quantità medie indicate variano in relazione al peso corporeo). Nell’organismo umano, il livello di saturazione della vitamina C è ritenuto pari a 150 mg, per cui un’assunzione maggiore determina un eccesso che non viene metabolizzato ma eliminato per via renale. Ciò vuol dire che assumere quantità maggiori di vitamina C corrisponde a buttare soldi dalla finestra.
Tanto vale mangiare frutta e verdura piuttosto che comprarsi la vitamina C come integratore in farmacia o nelle parafarmacie. La storia di questa vitamina è connessa, come già detto, con quella dello scorbuto, una malattia – già nota nel V secolo a.C. in Grecia -, legata alla sua carenza o mancanza nella dieta giornaliera. Nel XVI secolo i marinai affetti da tale malattia erano, infatti, curati con l’assunzione di verdura e frutta, tra cui i limoni e le arance.
L’acido ascorbico, che è come già detto l’altro nome della vitamina C, esiste in due forme enantiomere, cioè in due strutture chimiche chirali, cioè che sono l’una immagine speculare dell’altra non sovrapponibili (come una persona che si guarda allo specchio e la sua l’immagine, oppure la mano destra con la mano sinistra senza staccarle dallo stesso piano). Di queste soltanto la forma L (l’altra è la forma D), è quella a cui corrisponde il seguente nome IUPAC, difficile e incomprensibile ai profani,{(5R)-5-[(1S)-1,2-diidrossietil]-3,4-diidrossifurano-2(5H)-one}, conosciuta come già detto col nome di vitamina C o acido L-ascorbico. In acqua rende la soluzione acquosa molto acida (pH = 2,5) e ruota il piano della luce polarizzata di +20°, proprietà queste che la contraddistinguono dalle altre e che permettono di individuarla senza dubbio.
Francesco Giuliano
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