La versatilità tecnica di Nunzio
di Sergio Salvatori
Nunzio, uno dei più interessanti protagonisti della nuova generazione di scultori, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Roma, si diploma (1997 ) in scenografia come allievo di Toti Scialoja. Nunzio concentra la sua ricerca espressiva sulla materia, prediligendo il gesso, il legno, il piombo, che ha alterato fin dai primi anni Ottanta. Ha ricevuto il premio come miglior giovane artista alla XLII Biennale di Venezia, (1986), oltre alla menzione d’onore per la sala personale allestita nella XLVI Biennale di Venezia (1995). Nunzio Di Stefano, conosciuto semplicemente nel mondo dell’arte solamente come Nunzio, è nato (1954) a Cagnano Amiterno in Abruzzo. In seguito si trasferisce a Roma, dove vive e lavora. Nel Quartiere romano di San Lorenzo, Nunzio, stabilisce il suo studio nell’ex Pastificio Cerere, che si trova tra via degli Ausoni e Via Tiburtina, che si evolve gradualmente, per diventare Centro vitale della Cultura Artistica di Roma Capitale. Partecipa (1984) alla mostra collettiva
“Atelier”, curata da Achille Bonito Oliva, in cui erano aperti gli studi degli artisti allora risiedenti nell’ex Pastificio Cerere. La mostra pur non promuovendo un movimento artistico omogeneo e ben articolato, di fatto, porrà l’attenzione sui nuovi orientamenti dell’arte contemporanea romana e sulle sue ricerche espressive. Al Macro – Museo d’arte contemporanea di Roma, di Via Reggio Emilia 54, fu allestita la personale di Nunzio, (2005) in parallelo a quella di Jenny Saville. L’esposizione curata da Danilo Eccher, propose una serie dei lavori più espressivi di Nunzio, che ben sintetizzano l’esperienza della sua ricerca artistica nel corso degli anni. Il percorso espositivo, che coinvolse tutte le quattro Sale del Macro, focalizza il dialogo quanto mai versatile tra le varie tecniche, i materiali e il linguaggio creativo. Ai primi anni ’80, risalgono una serie di mostre personali, in cui espone acquarelli e sculture di gesso dipinte, alcune delle quali come “Quarto Ponte”, già manifestano la sua attenzione allo spazio e al coinvolgimento fisico e visivo della forma in un ambiente. Nel corso degli anni ’80 l’artista abbandona il gesso, materiale molto delicato, per il legno di cui svilupperà anche le qualità pittoriche attraverso un processo di combustione della materia. Il linguaggio scultoreo scrive nel testo del catalogo Danilo Eccher: “E’ forse quello che ha subito maggiori torsioni, pressioni, mutazioni, nel corso degli ultimi anni. Raramente la pratica scultorea ha voluto o saputo, articolarsi e confrontarsi con le nuove esigenze estetiche, pur conservando i tratti salienti della propria personalità. Ha spesso privilegiato un atteggiamento autistico nell’ossessione del proprio corpo, o, all’opposto, l’abbraccio mortifero e arrendevole alle nuove istanze linguistiche. Il processo plastico, ha dovuto riconoscere l’urgenza di una nuova grammatica espressiva, nei confronti di una realtà esterna in costante e frenetica mutazione, una realtà che aveva già riconosciuto inattesi linguaggi e si era definitivamente allontanata dalle tematiche del mimetismo rappresentativo. La scultura si è così scoperta come un terreno ideale per azzardare nuove sperimentazioni, luogo di ricerca estrema, linguaggio disarticolato e sgrammaticato, attraverso il quale ricomporre un nuovo orizzonte comunicativo”. Nunzio fa parte dei sei artisti di via degli Ausoni, definiti della Nuova Scuola Romana. Il gruppo non gruppo è così composto: “Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella, Marco Tirelli. Il motivo aggregante è quello di operare in un Atelier unico: quello del Pastificio Cerere di via degli Ausoni, nel Quartiere San Lorenzo a Roma. Nell’opera di Nunzio vi è innanzitutto un’eleganza rarefatta che richiama la sintesi formale di Costantin Brancusi; un’estasi gestuale scrive Danilo Eccher: “Si riconosce anche nei concetti spaziali d Lucio Fontana”. Maurizio Fagiolo Dell’Arco nel suo articolo “la materia e il mito” riassume molto felicemente: “Nunzio esplora la materia, ma gli interessa di più la sua trasformazione, in senso fisico, ma sopratutto in chiave mentale”. Perciò si potrebbe dire, che niente e nessun materiale porta ad un taglio netto col passato o ad una nuova tendenza estetica. I primi riferimenti artistici vicini al suo modo di sentire sono Gorky Rothko di cui ha avuto modo di ammirare la luce, nel corso di una mostra degli anni ’70, che lo influenzò profondamente, le forme di Pino Pascali, a cui dedicò la sua tesi di diploma, Brancusi e il pittoricismo di Matisse, ma sopratutto e in primo luogo Dante e Beckett, che l’arista non manca mai di ricordare e di ammirare per il suono evocativo della loro parola e per il modo della parola-immagine che ha influenzato il suo lavoro.
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