La transizione ecologica frenata da paure e miopie

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La transizione ecologica in provincia di Latina non può più attendere.
Mentre il resto d’Europa è pronta a varare un nuovo piano ambientalista, in nome di una energia nuova e sostenibile, in provincia di Latina si assiste a una pantomima dove è portato in scena un immobilismo anacronistico, che detta l’agenda della gestione dei rifiuti di alcune Amministrazioni comunali.
Anche le stesse associazioni ambientaliste nonché i produttori agricoli hanno ben compreso l’importanza e la sostenibilità nonché la non più rinviabilità di certe iniziative industriali. Non è un caso che i Governi parlino da mesi di New Green Deal inserito nel Pnrr, oggi violentemente tornato alla ribalta alla luce dell’improvvisa crisi energetica scaturita per il conflitto russo-ucraino e per le susseguenti sanzioni nei confronti della Russia, principale fornitore di gas per le nostre case e per la nostra economia.
Per anni i territori italiani, cui quello del comprensorio pontino non ha fatto eccezione, hanno vissuto un forte lassismo da parte della classe politica, pilatesca nel non prendere decisioni, rimandando iniziative volte a fare chiarezza su discariche e centri stoccaggi e dall’altra osteggiando lo sfruttamento dell’energia alternativa da fonti rinnovabili, seppure ci sia spesso stato il lasciapassare di enti sovracomunali.
E domina così il mantra ‘Mai nel mio giardino’. Inutile non sottolinearlo ma quanto accade ogni anno, ciclicamente, a Latina e provincia sulla ormai eterna vicenda dell’individuazione dell’area dove stoccare alcuni rifiuti odora proprio della sindrome di Nimby (in inglese per Not In My Back Yard, letteralmente “Non nel mio cortile sul retro”), anche se poi si declina in modo fisiologico in quella della Banana, dove il frutto esotico ha poco a che fare con questa grottesca storia all’italiana di malagestione del rifiuto.
Risulta chiaro che in questo contesto l’opera, pur ammettendo all’unanimità che è necessaria e fondamentale, rischia seriamente di non essere mai realizzata. Un autentico paradosso, tant’è che se la sindrome NIMBY colpisse ogni abitante della Terra diventerebbe di fatto impossibile prendere quei provvedimenti indispensabili a ogni comunità. Così, si arriverebbe al paradosso che pur riconoscendo un impianto come essenziale non si riuscirebbe ugualmente a realizzarlo. Gli anglofoni, per indicare la degenerazione estrema della sindrome NIMBY, utilizzano l’acronimo BANANA che sta per Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything (letteralmente “(non) costruire assolutamente nulla in alcun luogo vicino a qualsiasi cosa”).
È anche vero però che come reazione al fenomeno è stato coniato l’acronimo PIMBY (inglese per Please In My Back Yard, letteralmente “Prego nel mio cortile”), per indicare quei casi in cui una comunità richiede l’installazione sul suo territorio di opere di interesse pubblico.
Poi, arriva la soluzione di produrre energia dai rifiuti. E non si parla di rifiuti speciali o pericolosi, ma rifiuti che chiunque di noi produce, cioè quei rifiuti di scarto da cucina, quelli noti per la nostra industria di green economy come Forsu. Ed è così che è nata la Rifuture, che vuole realizzare nel sito industriale di Cisterna di Latina il suo centro di raccolta della frazione organica da trasformare in energia e poi ammendante da (ri)utilizzare nei campi da parte degli agricoltori, in modo da chiudere il ciclo dei rifiuti. Tutto nobile? Manco per idea. Il Comune di Cisterna di Latina ha svolto un consiglio comunale in cui si è dichiarato contrario alla realizzazione di questo impianto, facendo ogni tipo di ostruzionismo e un’opposizione richiesta all’autorità giudiziaria fino ad arrivare alla Presidenza della Repubblica. Ma si resta perplessi anche quando lo stesso Comune di Latina continua a far confusione affrontando il tema della discarica di Borgo Montello (gestito in quota parte da Ind.eco. e da Ecoambiente) richiedendo la bonifica del sito, dimenticando o ignorando che c’è una sentenza del Consiglio di Stato che (almeno) la Ind.Eco nulla deve. Anzi, la società pare anche impegnata a ricavare biometano da diversi anni sgonfiando i vari invasi che insistono sul territorio di sua pertinenza. Forse da parte della classe politica (di Latina) c’è mera superficialità nell’affrontare il tema (‘volete apportare modifiche sul sito della discarica? Si può fare ma prima c’è la bonifica…’).
Non si dovrebbe nemmeno scomodare Alcide De Gasperi con il suo aforisma che il vero politico si preoccupa delle prossime generazioni e non delle elezioni, come pare però abituata la classe pontina. Perché se la direzione obbligata è quella che ogni provincia italiana debba chiudere il ciclo dei rifiuti sul proprio territorio assistiamo già da ora a delle contraddizioni che non lasciano presagire un buon futuro e una buona transizione: se in Sicilia addirittura hanno abdicato le 9 province e la stessa Regione spostando montagne di rifiuti in Germania, la stessa Roma, sede dei ministeri, non riesce a trovare soluzioni e sposta il problema o ai confini dell’impero, preferendo non assumersi responsabilità e rifiutandosi di guidare un processo che la dovrebbe invece vedere capofila e di esempio. Così se il pubblico nicchia, tergiversa e gattopardescamente vuole cambiare il mondo ma facendolo rimanere tale, ecco che il privato capisce l’importanza del cambiamento e si adatta ai nuovi tempi, perché, si sa, la trasformazione crea opportunità per lasciare alle generazioni future Pianeta migliore. Quello che le classi politiche non coltivano.


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