Un virus è un’entità complessa contagiosa avente dimensioni dell’ordine del micron (un millesimo di millimetro), invisibile all’occhio umano ma visibile al microscopio. Non ha esistenza in vita autonoma. È, infatti, un parassita obbligato di cellule eucariotiche animali e vegetali ed è costituito da un involucro ( o nucleocapside) icosaedrico, cioè un poliedro a venti facce, o elicoidale (virione) essenzialmente lipoproteico (costituito da grassi e proteine che viene asportato dal lavaggio delle mani con il comune sapone), dentro cui si trovano riposti filamenti di acidi nucleici (DNA o RNA); la parte infettante è il virione. Il virus, infatti, si replica all’interno di cellule di altri organismi viventi utilizzando il suo acido nucleico. Il coronavirus, o precisamente quello che è stato battezzato COVID-19, che, oggi, è conosciuto in ogni parte del mondo a causa della pandemia che sta producendo centinaia di migliaia di contagiati e di morti, è caratterizzato dal genoma costituito da RNA (acido ribonucleico) lineare continuo a singolo filamento costituito da circa 30 mila basi (una base è una delle purine – Adenina o Guanina – o delle pirimidine – Citosina e Uracile). Dalla superficie del virione emergono delle protuberanze costituite da un trimero di tre glicoproteine S, (la glicoproteina S a causa della sua forma a punta è chiamata spike). Diversi trimeri sono sparsi sulla superficie dandole l’aspetto di una corona. Il diametro del virus oscilla da 75 a 160 nm (un nanometro pari a un millesimo di micron = 10-9 m) e la sua massa è dell’ordine di 10-16 g (0,0000000000000001g). Il contagio prodotto dal COVID-19 è favorito, grazie alla presenza di vari enzimi o biocatalizzatori, da una proteina, la spicola, che si lega alla membrana della cellula infettata attraverso cui il virus inietta il proprio RNA. Ciò gli permette di replicarsi e di causare l’infezione. Un gruppo internazionale di ricerca che opera presso l’Università tedesca di Lubecca sta lavorando sulla molecola nota come “13b” che lega e inibisce l’enzima “proteasi” (di cui si conosce già la struttura) che il virus utilizza per replicarsi all’interno della cellula infettata. (Un enzima è un catalizzatore, cioè una sostanza, solitamente proteica, che aumenta la velocità di reazione, ma non partecipa alla reazione rimanendo inalterato. Esso è specifico per una data reazione. Un inibitore, invece, è una sostanza chimica che blocca l’azione dell’enzima). Un incoraggiamento allora a tutti i ricercatori del mondo il cui obiettivo è quello di sintetizzare un farmaco che possa curare la malattia o trovare un vaccino che la possa prevenire. L’umanità intera è nelle loro mani. Intanto, bisogna sapere (Per alcune informazioni sul Covid-19 si può consultare https://hub.jhu.edu/2020/03/20/sars-cov-2-survive-on-surfaces/) che lo studio del New England Journal of Medicine ha scoperto che il virus COVID-19 può essere rilevato nell’aria per 3 ore; in natura, le goccioline respiratorie precipitano a terra più velocemente degli aerosol prodotti in questo studio. Gli aerosol sperimentali utilizzati nei laboratori sono più piccoli di quelli che escono da una tosse o da uno starnuto, quindi rimangono nell’aria a livello del viso più a lungo di quanto sarebbero le particelle più pesanti in natura. … È più probabile catturare l’infezione attraverso l’aria se ci si trova accanto a qualcuno infetto piuttosto che al di fuori di una superficie. La pulizia delle superfici con disinfettante o sapone è molto efficace perché una volta che lo strato superficiale oleoso (ndr: lipidico) del virus è disattivato, non è possibile che il virus infetti una cellula ospite. Tuttavia, non ci può essere una sovrabbondanza di cautela. Niente di simile è mai successo prima.
Francesco Giuliano
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