Le realtà criminali autoctone anche in provincia di Latina e nel basso Lazio hanno dimostrato nel tempo la capacità di determinare le condizioni di assoggettamento e omertà al pari delle organizzazioni tradizionali più note e meglio strutturate. Così si assiste a una “convergenza di interessi illeciti da parte di strutture criminali di diversa matrice che interagiscono alla costante ricerca di un equilibrio strategico creando, in taluni casi, agglomerati criminali di complessa lettura info-investigativa”. E’ questo l’incipit della relazione semestrale al Parlamento della Direzione investigativa antimafia nel capitolo relativo alla provincia di Latina dove, scrivono gli investigatori, “le organizzazioni autoctone si caratterizzano per un’autonomia che, per certi aspetti, risulta anche più marcata rispetto a quella riscontrabile nella Capitale; pertanto, la silente infiltrazione di camorra e ‘ndrangheta deve necessariamente confrontarsi e raggiungere una multiforme e opportunistica collaborazione con gli ambienti delinquenziali del luogo”. I gruppi in questione sono Di Silvio, Ciarelli e Travali “che hanno contribuito a creare un clima di diffusa omertà del tutto equiparabile a quello ingenerato dalle mafie tradizionali nei territori di origine, con possibili ripercussioni, dirette o indirette, anche nel tessuto socio-economico e amministrativo”.
Le operazioni di polizia
E se il traffico di stupefacenti resta la più redditizia delle attività illecite, i profitti dei gruppi sono riconducibili a estorsioni, usura, riciclaggio, indebite ingerenze nel settore dei rifiuti con frequente ricorso agli sversamenti abusivi, lottizzazioni abusive o comunque opere di trasformazione urbanistica non autorizzate, agromafie e caporalato. La relazione parla di “tentativi di condizionamento e d’infiltrazione nei locali apparati amministrativi e politici, rappresentano inoltre per le consorterie un obiettivo primario propedeutico, di fatto, a orientare l’aggiudicazione delle gare d’appalto o ad agevolare il rilascio di concessioni e autorizzazioni amministrative, soprattutto nel settore edilizio e balneare” e cita l’operazione “Scheggia” con l’arresto di cinque persone tra cui alcuni componenti del clan Di Silvio per estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata e a una serie di illeciti con l’aggravante delle modalità mafiose e la successiva operazione “Dune” su presunte irregolarità e interferenze nelle gare d’appalto indette dal Comune di Sabaudia. Il 19 luglio 2022 si ricorda un’altra operazione con sei indagati, a vario titolo, per falso, turbata libertà negli appalti riguardanti l’affidamento in gestione di spiagge e servizi connessi con la balneazione, oltre a frodi, indebite percezioni di erogazioni pubbliche e rivelazioni del segreto d’ufficio. In quel caso è emersa una pluralità condotte penalmente rilevanti connessi con la gestione dei servizi relativi alla balneazione, a illegittime sanatorie riguardanti opere e manufatti insistenti nel pubblico demanio marittimo, a lavori e opere pubbliche eseguite e commissionate dal Comune di Terracina. Dalla diversificazione degli interessi criminali, spiegano gli investigatori, “conseguono le crescenti e sempre più sofisticate esigenze di riciclaggio dei sodalizi che non possono prescindere dalla collaborazione con soggetti compiacenti dell’imprenditoria operanti sul territorio della provincia pontina”.
Le presenze dei clan sul territorio
Quanto poi alla identità dei diversi gruppi criminali “numerose sono in quest’area le proiezioni di clan camorristici quali i Moccia, Casalesi, Bardellino, Mallardo, Gagliardi-Fragnoli, Ricci, Di Lauro, Polverino, nonché di formazioni di matrice ‘ndranghetista quali i Tripodo-Romeo, La Rosa, Bellocco, Alvaro, Commisso, Madaffari E Gallace, non di rado in strategica collaborazione con i locali gruppi delinquenziali”.
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