Leggere un filosofo come Noam Chomsky, il maggiore linguista vivente, professore emerito al Massachusetts Institute of Tecnology, significa tuffarsi nel tempo, ritornare nel diciottesimo secolo, periodo in cui si sviluppò l’Illuminismo che come scrisse il filosofo Kant «è l’uscita dell’uomo dallo stato di inferiorità che egli deve imputare a se stesso. Inferiorità è l’incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza il comando di un altro. Imputabile a se stesso è questa inferiorità, se la causa di essa non dipende dalla mancanza d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e della forza di far uso del proprio cervello senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo». E significa anche di questo movimento di liberazione abbracciarne la dottrina che era tesa al rinnovamento della morale dell’essere umano e alla riforma della società dal punto di vista politico, etico e religioso dando vigore e spazio alla razionalità e alle capacità critiche umane. Conoscere il pensiero di Noam Chomsky, che va controcorrente nel senso che si distacca dal pensiero vigente del sistema socio-politico imperante, non significa aderire alle sue idee ma vuol dire riflettere sulla realtà, sui media e sul potere e cogliere gli eventi e le conseguenti cause che contrassegnano la società contemporanea. Il quotidiano britannico “The Guardian” scrive che «insieme a Marx, Shakespeare e la Bibbia, Chomsky è tra le dieci fonti più citate nella storia della cultura».
Ecco, allora, che, in questo periodo in cui l’umanità è assillata dal propagarsi della pandemia Covid-19, risulta fondamentale saper leggere in modo razionale e critico gli interventi legislativi, intrapresi dai vari governi nazionali e quindi anche dal governo italiano, che stanno gradualmente limitando le libertà individuali e intaccando i confini della privatezza personale al di là di ogni ragionevole dubbio.
Descrive Chomsky, per far comprendere con una metafora gli effetti che potrebbero comportare gli atti governativi, nel saggio Media e potere (Trad. di Rossella Moneta e Latino Imparato – Bepress, 2014), il principio della rana bollita:
«Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone» e si sarebbe salvata. Questo per far comprendere che la mente così come il corpo dell’essere umano, adattandosi a provvedimenti gradualmente piccoli ma via via crescenti, potrebbero essere portati al relativ o decadimento se si superasse il “punto di non ritorno”, cioè se si oltrepassasse la condizione oltre la quale il cambiamento diventerebbe irreversibile. E tutto questo è dimostrato anche dalla storia di Mitridate Sesto, re del Ponto (II secolo a.C.) che, per paura di essere avvelenato, assumeva piccole dosi crescenti di veleno per raggiungere la condizione di immunità, e anche dalla descrizione della morte di Emma, la Madame Bovary di G. Flaubert, che, dopo aver inghiottito una polvere bianca che aveva posto sul palmo della mano, dal sapore acre, sapore d’inchiostro, si avviò verso un trapasso lento, atroce, penoso, straziante, irreversibile.
In definitiva il pensiero di Chomsky si può compendiare in questa citazione «se valutassimo quel che avviene nella nostra società da alcuni decenni, ne conseguirebbe che stiamo subendo una deriva alla quale ci stiamo abituando lentamente. Molte cose, che ci avrebbero inorridito venti, trenta o quaranta anni fa, gradualmente sono diventate banali, mitigate e, oggi, ci disturbano poco o lasciano la maggior parte delle persone sicuramente indifferenti. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità dell’ambiente naturale, alla bellezza e alla felicità di vivere, si attuano lentamente e inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute».
Francesco Giuliano
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