Andando molto a ritroso nel tempo, intorno al VI-V secolo a.C. nell’antica Grecia, i temi attualissimi connessi con l’attuale pandemia Covid-19 sono stati già esaurientemente trattati, anche se per circostanze disparate e in contesti umani diversi, nella tragedia greca sin dal suo nascere, tant’è che essi in modo caratterizzato, profondo e passionale, si colgono nelle opere dei tre tragediografi greci del periodo attico, senza dubbio i più grandi nella storia dell’uomo, Eschilo (525 – 456 a.C.), Sofocle (496 – 406 a.C.) ed Euripide (485 – 406 a.C.), dove il mito nelle sue varie sfaccettature rappresenta l’anima degli avvenimenti descritti e la metafora delle azioni umane.
Molti dei temi, elaborati in modo altamente poetico, risultano attualissimi il cui approccio sottende l’altruistico scopo di proiettare altrove le nostre paure, quelle paure che stanno affliggendo la popolazione mondiale da più di due anni a causa della citata pandemia.
Nelle tragedie di Eschilo si coglie la condizione dell’essere umano (che oggi è la condizione relativa alla Covid-19), che si dispiega tra la conoscenza che si coglie nei doni ai mortali della tragedia Prometeo incatenato (Oh, non crediate che per orgoglio o per superbia io taccia: ma il cuore mi rodo in un pensiero, a vedermi così oltraggiato. … Ma dei mortali gli affanni udite; e come io, di stolti c’erano innanzi, intelligenti li feci e dotati di senno. E voglio dirlo, non perché io abbia alcun biasimo verso gli uomini, ma per spiegarvi la benignità dei miei doni. – Un tempo essi guardavano e invano vedevano, udivano e non intendevano: e simili a larve di sogno, durante la lunga vita a caso confondevano ogni cosa …) e il dolore che si evince nella profezia di Cassandra della tragedia Agamennone (Ahi ahi, o sventure! Terribile travaglio di verace profezia mi stravolge, già in questo proemio, squassandomi …), dove si afferra il senso della vendetta nel vanto di Clitennestra che uccide il marito (Voi cercate di mettermi a prova, come una donna stolta. Ma io con cuore intrepido parlo a voi che mio conoscete: se tu vuoi lodarmi o biasimarmi, è la stessa cosa. Questo è Agamennone, mio sposo, ora cadavere: azione della mia mano, giusta operatrice. Ecco tutto.). Ogni cosa appare collegata al passato per tutto ciò che la vita riserva a ogni essere umano come le colpe dei padri che ricadono sui figli.
Nelle tragedie di Sofocle si apprende invece il dolore derivante dalla consapevolezza di un accadimento infausto (oggi è quello della pandemia Covid-19), dove l’uomo cerca di districarsi tra il diritto universale (v. l’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani che recita: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.) e la legge “etica” che ha comportato la limitazione delle libertà, dettata dall’imposizione della clausura relativa alla diffusione del virus Sars-Cov-2. L’uomo in tal modo percepisce il mondo come ingiusto, perché gli toglie la fiducia nella vita, come riporta il destino dell’uomo, nella tragedia Edipo a Colono: Non essere nati supera ogni condizione; ma, poi che si è nati, ritornare subito là donde si venne è sorte di gran lunga più bella tra le altre. Quando giovinezza sia trascorsa, con sua lieve follia, qual gravosa pena è respinta fuor dalla nostra vita?Qual tormento manca? Invidia, contese, discordia, lotte e sangue; e all’estremo il fato porta la spregiata impotente intrattabile vecchiaia senza amici, dove tutti i mali dei mali convivono insieme.
Si coglie inoltre la legge morale dentro ogni essere umano che si oppone alla legge dell’uomo che non cede alle sventure, come si evince dall’Antigone che trasgredisce la legge del tiranno Creonte: E se pur dovrò morir prima del tempo, io questo lo chiamo guadagno: e chiunque, come me, vive tra molti mali, come non riporta guadagno se muore? Così per me, avere questa sorte non è dolore, per nulla; ma se il figlio di mia madre, morto, avessi lasciato insepolto cadavere, sì che avrei sofferto … .
Nelle tragedie di Euripide infine si desume il tema del peccato, che è esaminato e ritenuto come un avvenimento umano involontario perché nessuno pecca volontariamente: In Ippolito, il giovane rifiuta l’amore della matrigna Fedra che di conseguenza esplode in uno sfrenato delirio: Che ho fatto? Ahimé, sventurata! Dove mi sono perduta in delirio? Ero folle, caduta nell’ira di un nume! Ahimé, sventurata! Nutrice, velami il capo; ho vergogna delle mie parole. Coprimi! Dagli occhi mi scorrono lacrime e il viso è sconvolto per l’onta. Tornate in sé, alla ragione, è dolore: sventura è la follia, ma meglio è perire così, inconsapevoli.
Identiche situazioni, che suscitano rabbia o rancore o altro sentimento negativo, succedono anche ai giorni nostri, basti pensare a quell’uomo che un anno fa, dopo una lite furibonda con la moglie, per dare sfogo alla sua enorme rabbia conseguentemente scaturita, si incamminò percorrendo a piedi 420 km da Como a Fano. (I corsivi sono tratti da R. Cantarella e C. Coppola, Corolla greca, S.E. Date Alighieri, 1962).
Francesco Giuliano
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