La crisi educativa ed il “Recovery Human”.

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LATINA- Amo vivere il mattino presto. L’aria fresca, il silenzio, i colori dell’alba. Una vecchia psichiatra romana mi disse che il mondo si potrebbe dividere in gufi ed antilopi. I primi dediti alla notte, le seconde, appunto, alle prime luci del giorno. Ecco, secondo questa teoria, senza alcun dubbio ingrosserei le fila delle antilopi.

L’altra mattina alle sei, come al solito, ero a far colazione al Bar Mimì. Appuntamento imprescindibile  assieme alla messa delle 7 in Cattedrale.

All’improvviso, da Piazza della Libertà, sbucano un gruppetto di ragazzine. Avranno avuto dai dodici ai quattordici anni. Zaino in spalla, pantaloncini che definire corti sarebbe un eufemismo, avrebbero desiderato trovare il tabacchi aperto per comprare le sigarette. Da una lettura attenta dei loro volti erano chiaramente reduci da una serata non propriamente trascorsa a guardare i cartoni animati.

Perché erano in giro, da sole, alle 6 del mattino? Dov’erano i genitori, gli adulti che dovrebbero avvertire la responsabilità educativa dei figli che hanno desiderato mettere al mondo?

Ovviamente il discorso vale per i ragazzi erga omnes, a prescindere dal sesso o dalle condizioni socio-economiche di appartenenza.

Trovo vi sia un pericoloso corto circuito educativo che investe tutti, nessuno escluso. Famiglia, certo, ma anche scuola e Chiesa. Le due istituzioni, cioè, che dovrebbero fornire un ausilio prezioso a genitori sempre più impreparati, distratti, dimentichi della loro condizione.

Il fatto è che c’è una tendenza assai insidiosa dei ragazzi che oggi s’accingono a sperimentare la genitorialità: vivere in uno stato di fanciullezza perenne! Sempre e soltanto figli, mai padri o madri. Basti vedere come s’atteggiano nei riguardi di questi ragazzi: amici, confidenti, complici.

E l’esempio? E il senso d’autorevolezza e d’autorità? Il limite?

Se gli adulti giocano a fare gli eterni fanciulli, sono i figli che mimano la vita dei “grandi”. Quelle ragazzine ne erano l’esempio perfetto: vestite come fossero delle ventenni, la sigaretta usata come simbolo di maturità, il linguaggio ad indicare una condizione di vera miseria intellettuale.

Com’è stato possibile arrivare a questo punto? Le famiglie senza più occhi né orecchie, certo. Ma non solo. C’è anche una scuola intrisa di frustrazione ed arrendevolezza piena com’è di docenti disperati il cui insegnamento non indica un desiderio appassionato e convinto, bensì un posto impiegatizio come un altro. Come se un docente avesse la stessa responsabilità di un cassiere di banca.

La Chiesa, poi, in un mondo siffatto ha radicalmente perso attrattiva nella galassia giovanile. Salvo qualche rara e luminosa eccezione, s’intende. Se non si pongono i ragazzi nella condizione di potere incontrare Cristo nella Parola ma anche e soprattutto nell’altro da sé, non vedo come possa accendersi in loro la scintilla. Tutto, infatti, parte dall’Amore. “Ama il tuo prossimo come te stesso”.

Cosa c’è di più rivoluzionario, complesso e insieme entusiasmante- oggi- di questo invito che ci fa San Paolo? Quanti genitori , catechisti, insegnanti, sacerdoti comunicano questo ai ragazzi?

Questa generazione non ama se stessa, figurarsi come potrebbe amare gli altri.

Nulla, tuttavia, è definitivo ed irreversibile. Occorre un grande “Recovery Human”, per usare una espressione oggi tanto di moda.

Riacciuffare l’Essere Umano ovunque esso sia ed operi: nella scuola, nel lavoro, nella Chiesa, lungo la strada.

Tornare, cioè, ad essere Maestri di umanità in umanità.


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