La filosofia è la ricerca attraverso il pensiero dell’essenza del mondo, è il porsi domande con lo scopo di interpretare il modo di essere di sé, di sé con gli altri e di sé con l’universo. Tra filosofia e chimica esistono muri invalicabili: la filosofia non dipende dall’acquisizione di nuove conoscenze ma è soltanto speculazione, contemplazione del «tutto», mentre la chimica è scienza che si avvale del metodo sperimentale e studia una parte del «tutto». Se poi ci si riferisce alla filosofia greca antica, si hanno significati concettuali e linguaggi differenti tra essa e la chimica, a cui si aggiungono diversità di approccio e l’idea stessa di atomo, che per i filosofi greci rappresentava l’arché – il principio di tutte le cose, che etimologicamente significa indivisibile. Ma non solo. L’atomo, dalle prove sperimentali risulta non pieno perché contiene tra il nucleo (il centro) e gli elettroni (la periferia) un grande vuoto, tant’è che se un essere umano si rimpicciolisse a tal punto da abitare sul nucleo dell’atomo vedrebbe approssimativamente l’elettrone ad esso più vicino così come vede il Sole stando sulla Terra. Tutto ciò è vero come è vero che senza l’idea di atomo, così come è stata partorita dalle menti di Leucippo, Democrito ed Epicuro (secondo i quali dagli atomi derivano tutte le cose, dunque, con un continuo loro aggregarsi e disgregarsi in quanto dotati di eterno movimento, senza che in tali processi nulla derivi dal nulla né vada nel nulla), oggi non sapremmo «vedere» negli invisibili e submicroscopici meandri della natura da cui derivare le leggi universali, e non avremmo gli strumenti per comporre e scomporre le molecole dei composti prodotti dall’unione di atomi diversi.
Il filosofo Giovanni Reale (1931 – 2014), in Storia della filosofia greca e romana (Bompiani, 2018), asserisce “che il problema filosofico è nato e si è sviluppato come tentativo di cogliere e di spiegare l’«intero», ossia la «totalità delle cose», o almeno come problematica dell’intero e della totalità. …. Per contro, le scienze sono nate come considerazione razionale ristretta a «parti» o a «settori» del reale, e hanno elaborato metodologie e tecniche di indagine che, modulate in funzione delle strutture di queste parti, danno eccellenti risultati, ma valgono solamente per queste parti, e non possono in alcun modo valere per l’«intero». La precisione dei metodi scientifici suppone necessariamente restrizioni di ambiti e semplificazioni strutturali: per conseguenza, l’applicazione o la pretesa di applicare i metodi delle scienze alla filosofia, ossia all’«intero» – in quanto la filosofia è sempre e solo, come dicevamo, considerazione dell’«intero», sia pure nei modi più diversi – produce quel monstrum teoretico che viene giustamente chiamato «scientismo»”.
Il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889 – 1976) sostiene che la filosofia antica è nata grande e se la nostra civiltà ha raggiunto i livelli che conosciamo è grazie a quella filosofia. Nel saggio Introduzione alla metafisica (Mursia, 1979), egli scrive: “… la filosofia, è una delle poche cose grandi di cui l’uomo è capace. Ora, ogni grande cosa può avere solo un grande inizio. Il suo inizio è sempre la cosa più grande […]. Tale è la filosofia dei Greci”. La filosofia nasce in Grecia intorno al VI sec. a.C. con il logos (ragionamento, logica, discorso, ecc.), che prende il sopravvento sul mythos (narrazione sacra), ed è esclusiva invenzione degli antichi Greci. Aristotele nella Metafisica scrive che: Tutte le altre scienze saranno più necessarie di questa, ma superiore a questa nessuna.
Il filosofo e linguista Silvio Ceccato (1914 – 1997) nella Prefazione alla Storia filosofica della Scienza di H. Dingler, descrive brevemente il percorso evolutivo che conduce alla filosofia distinguendo la «provenienza dell’osservativo e del categoriale … L’osservativo è pur sempre quell’empirico, dell’esterno che viene riflesso all’interno, dei sensi … In quanto empirico, esso sarebbe anche segnato da un disvalore, da incertezza, imprecisione, contingenza, particolarità. Il categoriale, all’opposto, è pur sempre quell’ideale che Platone postula nel mondo degli dei e al quale viene attribuito un valore superiore, il certo, l’esatto, il permanente, l’universale. … Il categoriale (ndr: cioè un concetto, un valore che rientra in un ordine prestabilito) è comparso con l’inizio dell’homo sapiens, il pensiero con l’inizio dell’homo sapiens, le mani guidate con l’inizio dell’homo sapiens e faber … I Greci hanno quindi «scoperto» l’ideale come categoriale, ma inventato un valore conoscitivistico positivo da assegnare a questo categoriale, bilanciandolo con il valore conoscitivistico negativo assegnato al «materiale, empirico, sensibile»: il vuoto di una bottiglia, ad esempio, è il pieno di un pallone di calcio. Ed aggiunge che « … è impossibile concludere un pensiero con valori se in qualche modo essi non sono stati introdotti prima della conclusione. E allora si hanno due possibilità: o si introducono di soppiatto sicché appaiono uscire dalle cose stesse, oppure se ne dichiara il criterio, tornando a farsi opera umana, di storia di un uomo o dell’umanità, sempre fino a oggi, con il solito domani incerto».
Sulla base di queste considerazioni, si può affermare senza dubbio che la chimica affonda le sue radici nella speculazione filosofica dell’antica Grecia, da cui nel corso dei secoli si differenzia acquisendo i caratteri della scienza esatta.
Leucippo (V sec. a.C.) e il suo discepolo Democrito (460 – 370 a.C.) hanno spiegato che il principio di tutte le cose è l’atomo – ossia l’essere -, che per muoversi ha bisogno del vuoto – ossia il non-essere -, e che dell’essere nulla è non-essere. Tuttavia l’atomo democriteo è «l’atomo forma». Scrive, a proposito, il filosofo Vittorio Enzo Alfieri (1906 – 1997) nel saggio Atomos-Idea – L’origine del concetto dell’atomo nel pensiero greco (Congedo, 1979) «E che cosa vuol dire idea?… idea è il visibile. … in che senso visibile? Visibile, evidentemente, solo alla vista dell’intelletto: l’intelletto astratto, che parte dal visibile corporeo spingendosi sempre più oltre fin dove i sensi non possono arrivare più, trova il suo termine d’arresto in un mondo quintessenziato e depotenziato, che è l’analogia del visibile corporeo. Forma è dunque il visibile geometrico, ciò che è visibile all’intelletto, ma pur sempre analogo al sensibile e perciò ritenuto capace di generare il concreto sensibile. Tale è la “idea’’, o forma, che può essere concepita da una filosofia materialistica, la quale nulla ammette di immateriale tranne il vuoto, ma definendo il vuoto giustamente come non-essere. … è l’idea democritea, che è quantità, materialità e necessità. …. “Atomos idea” è la prima affermazione dell’individualità, della sostanzialità dell’essere singolo, nella filosofia greca: in ciò sta la grandezza di Democrito».
Trent’anni dopo la scomparsa di Democrito, nasce Epicuro (341 – 270 a. C.) che riprende l’atomismo sostenendo che il «tutto»(pan), cioè «la totalità della realtà», è determinato da due costitutivi essenziali: i corpi e il vuoto. I corpi sono percepiti attraverso i sensi, mentre il vuoto è dedotto dal fatto che senza di esso non esisterebbe il movimento. E grazie a questo movimento gli atomi deviandosi (clinamen), in qualsiasi momento del tempo e in qualsiasi punto dello spazio, si scontrano e si aggregano generando i composti. Dopo Epicuro la sua filosofia ci trasferisce storicamente a Roma nel I secolo a.C. per trovare un suo seguace: il poeta romano Lucrezio, autore del poema De rerum Natura, in cui sono descritte le «verità» della scienza comprensibili al cuore, e che sanno guarire i mali degli uomini, o almeno alleviarli. Tra «queste verità» c’è l’atomismo epicureo, il più perfetto dei tentativi in senso materialistico per comprendere il mondo. Lo scopo di Lucrezio era quello di «insegnare la grande scienza, sforzandosi di liberare la mente umana dall’angusta rete della superstizione». Fin qui comunque c’era stata pura astrazione e «l’esperimento si trovava ancora allo stato embrionale, e per questa ragione non venne nemmeno sollevata la questione di sottoporre all’indagine sperimentale i dettagli concreti del mondo atomico. Furono necessari molti secoli prima che il livello della sperimentazione scientifico-tecnica fosse salito al punto di creare la possibilità di penetrare nel mondo inaccessibile degli atomi che, nell’opinione degli antichi greci, poteva essere conosciuto dall’intelletto dell’uomo. … Nei secoli XV – XVII appare una letteratura nella quale è chiaramente espresso l’interesse per l’atomismo. … il poema di Lucrezio portava con sé la grande idea dell’atomismo e contribuì grandemente al trionfo dello stesso nei secoli XVII e XVIII. … Al principio del secolo XVII la teoria atomica di Epicuro acquistò grande diffusione grazie all’attività del filosofo francese Pierre Gassendi (1592 – 1655) … che nei suoi lavori si discosta solo leggermente dalle posizioni della teoria atomica di Epicuro, ma rifugge da una chiara professione di ateismo, sostenendo che gli atomi non esistevano da sempre, ma erano stati creati da Dio. … la sua eredità divenne patrimonio della fisica e della chimica già nei lavori di Robert Boyle (1627 – 1691)» – scrive il chimico russo Iurij I. Solov’ev (1924 – 1977) nel saggio L’evoluzione del pensiero chimico dal ‘600 ai giorni nostri (EST – Mondadori,1976). Con il chimico irlandese, che scrisse The Sceptical Chymist (1661) – Il chimico scettico – il suo libro di chimica, inizia un lungo cammino complesso ma inarrestabile che conduce alla chimica moderna, conseguente alla scoperta delle tre leggi fondamentali – tra il 1789 e il 1804 – e alla formulazione della teoria atomica (1808) del chimico inglese John Dalton (1766 – 1844) in cui l’atomo era considerato ancora indivisibile. Nel corso di poco più di un secolo, col susseguirsi di varie scoperte scientifiche, esso ha subito diverse modifiche. Passando dal modello epicureo-daltoniano all’attuale modello quantistico, l’atomo, oggi, risulta costituito da un insieme di ulteriori particelle ancora più piccole organizzate in maniera peculiare e scientificamente corretta. Ovviamente, com’è nella natura delle cose, il modello quantistico fa sorgere altre interpretazioni di natura filosofica orientate sempre a comprendere quale sia il senso della vita in questo nostro mondo.
Francesco Giuliano
[nella foto il dipinto “Il laboratorio dell’alchimista” (1580 ca.) di Giovanni Stradano (1523 – 1605) nello studiolo di Francesco I del Palazzo Vecchio di Firenze]
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