Ipazia, la prima donna filosofa, scienziata, «radical chic» e femminista

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«Nel quinto secolo dopo Cristo una donna fu assassinata. Non sappiamo molto di lei. Se non che era bella e che era una filosofa. Sappiamo che fu spogliata nuda  che fu dilaniata con cocci aguzzi. Che le furono cavati gli occhi. Che i resti del suo corpo furono sparsi per la città e dati alle fiamme. Che a fare tutto questo furono dei fanatici cristiani. Sappiamo che da allora è diventata un simbolo, un’icona. Anche se di questa icona non conosciamo i tratti. […] Sappiamo che i suoi allievi si innamoravano di lei, e che lei li respingeva. Sappiamo che era da ogni punto di vista un’aristocratica. Sappiamo che il suo assassinio fu uno scandalo la cui eco non si è mai spenta in quindici secoli, anche se è stato soffocato dalla chiesa cattolica, quella dei papi. […]».Introduce così il libro “Ipazia – La vera storia” (Rizzoli, 2010) la filologa Silvia Ronchey dell’Università di Siena, «una bizantinista che sa lavorare sui documenti – scrive Umberto Eco -, ci racconta la vera storia – che non è meno affascinante delle leggende». Fu un assassinio politico oppure religioso negli anni in cui la chiesa cristiana cercava di scalare il potere, oppure fu casuale o dovuto all’ostilità di un giovane vescovo ambizioso e invidioso? Ammiano Marcellino nella sua opera storica Res gestae (IV secolo), per darci un’idea sull’atroce assassinio di Ipazia, «tra i più deplorati nella storia della cultura», scrive: «Non ci sono belve tanto infeste agli uomini quanto i più dei cristiani sono esiziali a se stessi».

Ipazia (355 – 415), nome che dal sostantivo femminile greco hypate significa “la nota più alta della scala musicale greca”, nata e vissuta ad Alessandria di Egitto, figlia di Teone, geometra e filosofo, e appartenente all’aristocrazia della città, fu una matematica, astronoma e anche filosofa neoplatonica, resa “martire della libertà di pensiero” dai cristiani, in quanto da vera scienziata si opponeva alla visione profondamente dogmatica evangelica. Ipazia, dal poeta francese Charles Marie René Leconte de Lisle (1818 – 1894) definita “il soffio di Platone” per il suo appassionato sapere e “il corpo di Afrodite” per la sua bellezza e il suo fascino, considerava la filosofia  «uno stile di vita, una costante, religiosa e disciplinata ricerca della verità» e, per la sua sfrenata passione per la conoscenza, «era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico».

Ipazia, infatti, dapprima studiò la matematica perché, studiosa di Platone, aveva appreso leggendo la Repubblica che fosse propedeutica alla filosofia in quanto ritenuta «conoscenza di ciò che esiste eternamente», poi pervenne alla «vera filosofia» e per mezzo di questa alla dialettica raggiungendo «un livello eccelso nella prassi dell’insegnamento».

Lo storico Socrate Scolastico (380/390 – 439/450) asserisce che Ipazia «Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale». Una donna, dunque, il cui comportamento era pari a quella di ogni uomo.

Dopo circa tredici secoli dalla sua morte, Denis Diderot (1713 – 1784), uno dei massimi esponenti illuministi, nella stesura dell’Encyclopédie, di Ipazia scrive: «A nessuno la natura aveva mai concesso un’anima così elevata o un genio più felice di quelli della figlia di Teone. L’educazione ne fece un prodigio» perché «convogliò i princìpi fondamentali delle altre scienze» apprese dal padre «nella conversazione e nelle scuole dei celebri philosophes che fiorivano allora ad Alessandria». […] «Tutte le conoscenze accessibili allo spirito umano, riunite in questa donna dall’eloquenza incantatrice, ne fecero un fenomeno sorprendente, e non dico tanto per il popolo, che si meraviglia di tutto, quanto per i filosofi stessi, che è difficile stupire» (cit. S. Ronchey). Dall’Illuminismo in poi Ipazia non solo è stata considerata una vittima del fanatismo religioso cristiano ma anche, come già detto, una “martire della libertà di pensiero”, conseguente allo sviluppo del pensiero scientifico, che fa dire a Gustave Flaubert: «Hypatie c’est moi!». Ed è stata proclamata, per il suo essere di pari dignità all’uomo del suo tempo, la prima donna femminista della storia e «un’icona della resistenza ad ogni integralismo». Il poeta Mario Luzi (1914 – 2005), nella pièce teatrale Libro di Ipazia (BUR, 1980), scrive  di lei che «anche nel firmamento della memoria umana» ci sono «i buchi neri, le stelle invisibili dalla prodigiosa forza d’attrazione», declamandola così: «Ipazia è la forza che accelera il moto/ Ipazia è una forza non consumata,/ un dente non eroso dall’attrito. […] «Essa vede lontano promana una luce di aurora/ da quei discorsi accesi da un fuoco di crepuscolo/ […] Non guardarla come un’insidia,/ non ti mettere in armi contro di lei:/  allora la sua fiamma ti scalderà/ e della sua forza anche tu potrai essere forte, credimi».

Alcuni storici riportano che sia stata «l’invidia per la sua straordinaria saggezza ma soprattutto per ostilità contro la sua sapienza astronomica» mostrata dal vescovo Cirillo di Alessandria (370 – 444) la causa scatenante della morte drammatica di Ipazia. Riprendendo e studiando il sistema eliocentrico di Aristarco di Samo (310 – 230 a.C.), Ipazia, infatti, ne condivise la teoria superando quella geocentrica di Claudio Tolomeo (II secolo) a sua volta desunta da Aristotele (IV secolo) e togliendo di fatto all’uomo la sua centralità universale che lo faceva sentire prescelto da Dio. Circa dieci secoli più tardi la teoria eliocentrica venne ripresa e dimostrata dall’astronomo polacco Niccolò Copernico (1473 – 1543), pubblicata nel libro De revolutionibus orbium coelestium (1543), ed è risaputo come andò a finire a coloro che avevano condiviso tale teoria:  Giordano Bruno (1548 – 1600) fu condannato e bruciato vivo sul rogo, e Galileo Galilei (1564 – 1642) fu costretto ad abiurare nel 1633 e condannato al confino ad Arcetri.

La morte di Ipazia fu causata materialmente dai parabolani, fanatici cristiani, “mostri creati dalla storia”, che, mentre ritornava a casa, la tirarono giù dalla lettiga, la spogliarono, «mentre ancora respirava un po’ le cavarono gli occhi» e «la massacrarono usando cocci aguzzi, la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaron, li diedero alle fiamme» (cit. S. Ronchey).

E, per tale trattamento disumano, lo scrittore  Téophile Gautier (1811 – 1872), nell’Histoire du Romantisme, definì «la belle Hypatie, une sainte païenne qui souffrit le martyre pour les dieux antiques, les symboles les plus parfaits de la beauté, les plus magnifiques personnifications des forces naturelles» (la bella Ipazia una santa pagana che soffrì il martirio per gli antichi dei, i più perfetti simboli della bellezza, le più magnifiche personificazioni delle forze naturali).E lo scrittore francese Jean Dornis (1864 – 1949) nell’Essai sur Leconte de Lisle  lo confermò: « … “Hypatie est la muse de Leconte de Lisle”, écrit Théophile Gautier. Elle représente admirablement le sens de son inspiration. Il a, comme elle, le regret des dieux superbes, les plus parfaits symboles de la beauté, les plus magnifiques personnifications des forces naturelles, qui, n’ayant plus de temples ni d’admirateurs, régnent encore sur le monde par la pureté de la forme. …». (… “Ipazia è la musa di Leconte de Lisle”, scrive Théophile Gautier. Rappresenta mirabilmente il senso della sua ispirazione. Anche lui, come lei, rimpiange gli dei superbi, i più perfetti simboli della bellezza, le personificazioni più magnifiche delle forze naturali, che, non avendo più templi né ammiratori, regnano ancora sul mondo attraverso la purezza della forma …).Anche Dario Fo di lei scrisse: «Era una donna libera, estesa, aperta e politica, che faceva forza di questo suo sapere per dimostrare che tutti sono uguali, che tutti hanno le stesse possibilità. È stata processata, aggredita, fatta in pezzi così piccoli che non si contavano: perché intelligente e questo agli uomini faceva paura».

Se Ipazia fosse vissuta oggi, in Italia, invece da taluni politici conservatori e loro fautori sarebbe stata definita, per scherno o per invidia e anche per odio della cultura, una «radical chic» in quanto aristocratica, appartenente al mondo della cultura con idee progressiste e anticonformiste, e socratica per la sua fame di conoscenza.

Il film su Ipazia Agorà (2009) di Alejandro Amenábar che, nelle propositi del regista, doveva essere una denuncia contro tutte le forme di integralismo e fanatismo religioso, ebbe il merito di fare conoscere al grande pubblico la personalità di questa grande donna, protofemminista, unica sapiente nella storia della filosofia.

Francesco Giuliano


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Francesco Giuliano
Giuliano Francesco, siciliano d’origine ma latinense d’adozione, ha una laurea magistrale in Chimica conseguita all’Università di Catania dopo la maturità classica presso il Liceo Gorgia di Lentini. Già docente di Chimica e Tecnologie Chimiche negli istituti statali, Supervisore di tirocinio e docente a contratto di Didattica della chimica presso la SSIS dell’Università RomaTre, cogliendo i “difetti” della scuola italiana, si fa fautore della Terza cultura, movimento internazionale che tende ad unificare la cultura umanistica con quella scientifica. È autore di diversi romanzi: I sassi di Kasmenai (Ed. Il foglio,2008), Come fumo nell’aria (Prospettiva ed.,2010), Il cercatore di tramonti (Ed. Il foglio,2011), L’intrepido alchimista (romanzo storico - Sensoinverso ed.,2014), Sulle ali dell’immaginazione (NarrativAracne, 2016, per il quale ottiene il Premio Internazionale Magna Grecia 2017), La ricerca (NarrativAracne – ContempoRagni,2018), Sul sentiero dell’origano selvatico (NarrativAracne – Ragno Riflesso, 2020). È anche autore di libri di poesie: M’accorsi d’amarti (2014), Quando bellezza m’appare (2015), Ragione e Sentimento (2016), Voglio lasciare traccia (2017), Tra albori e crepuscoli (2018), Parlar vorrei con te (2019), Migra il pensiero mio (2020), selezionati ed editi tutti dalla Libreria Editrice Urso. Pubblica recensioni di film e articoli scientifici in riviste cartacee CnS-La Chimica nella Scuola (SCI), in la Chimica e l’Industria (SCI) e in Scienze e Ricerche (A. I. L.). Membro del Comitato Scientifico del Primo Premio Nazionale di Editoria Universitaria, è anche componente della Giuria di Sala del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2018 e 2019/Giacarlo Dosi. Ha ricevuto il Premio Internazionale Magna Grecia 2017 (Letteratura scientifica) per il romanzo Sulle ali dell’immaginazione, Aracne – NarrativAracne (2016).