La cultura storica ha il fine di serbare viva la coscienza che la società umana ha del proprio passato, cioè del suo presente, cioè di se stessa. Benedetto Croce
Fausto Orsini, personalità di rilievo nel panorama culturale del territorio pontino, è nato nel 1943 a Sezze, in terra lepina e ha vissuto i suoi primi anni di vita nel Campo Superiore, in località Suso, ai piedi del Monte Semprevisa. Laureatosi in filosofia e in giurisprudenza ha dedicato gran parte della sua esistenza alla scuola, alla formazione delle nuove generazioni, dapprima come insegnante e successivamente come preside. È stato, inoltre, “comandato” per diversi anni presso il Provveditorato agli Studi di Latina dove si è occupato del Progetto Giovani, dell’educazione alla salute, di sperimentazione e aggiornamento, di autonomia scolastica, di graduatorie dei docenti e di storia del Novecento. Come uomo di scuola, oltre che impegnato nell’attività sindacale, si è dedicato alla ricerca storica di carattere locale realizzando anche progetti inseriti nei piani dell’offerta formativa degli Istituti di cui è stato dirigente e in particolare dell’Istituto Tecnico Commerciale “Vittorio Veneto” di Latina. Appassionato di storia, è stato per oltre quaranta anni presidente del Comitato di Latina dell’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano e membro della Consulta Nazionale del medesimo Istituto. I suoi studi e le sue ricerche si sono orientati verso questo periodo della storia italiana, con particolare riferimento alla realtà territoriale. Su questi argomenti di carattere storico ha pubblicato pregevoli e numerosi articoli su diverse riviste, come la Rassegna Storica del Risorgimento e su volumi collettanei. Nel 2011-12 ha promosso e curato, insieme con lo storico Aldo Di Biasio dell’Università «Federico II» di Napoli, la mostra sui 150 anni dell’Unità d’Italia, dal titolo: «Nel Centocinquantenario dell’Unità d’Italia. La Provincia di Latina. Territori, economia società istituzioni fermenti culturali e politici”. Negli ultimi anni ha curato, per conto dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano – Comitato di Latina -, gli Atti del Convegno Gli immigrati a Sezze nel 1800, dimostrando la sua sensibilità per iniziative di natura culturale che contribuiscono a far conoscere la storia del nostro territorio e tendono a valorizzare le comunità locali, in particolare i paesi del comprensorio dei Monti Lepini.
Quando ha avuto inizio la tua passione per gli studi storici? Mi sono appassionato allo studio della storia sin da bambino, ascoltando i racconti dei combattenti della Grande guerra. Con quale motivazione hai intrapreso le tue ricerche sulla storia locale? Volevo capire come le comunità locali avessero partecipato alla costruzione della grande storia e restituire visibilità ad una umanità subalterna ma essenziale per la crescita non solo economica della società italiana. Lo storico ha il desiderio di esplorare il proprio passato e preservarlo. Questa affermazione è da te condivisa. Se si, perché? Viviamo in una società che tende ad avere poca memoria del passato. In nome del nuovo si tende a cancellare il ricordo di come eravamo di cui spesso ci si vergogna. Ma una società che ripudia le proprie radici è condannata a sparire e ad essere colonizzata. Di qui lo sforzo dello storico di studiare e riproporre all’attenzione delle nuove generazioni il passato la cui conoscenza adeguata è indispensabile anche per capire in che direzione vogliamo andare. Nella tua attività di professionista della formazione non solo scolastica ma anche umana dei giovani, quale significato hanno avuto i due spettacoli Banchi di scuola e La tenuta del 4? La nuova inaugurazione dell’Aula Magna dell’Istituto tecnico “Vittorio Veneto” di Latina, avvenuta nel 2002, dopo i lavori di restauro delle pitture murali di epoca fascista in essa presenti ma oscurate nel secondo dopoguerra, offre a un nutrito gruppo di studenti, con l’aiuto di alcuni professori, l’occasione per dedicare parte del loro tempo alla scoperta delle radici della propria scuola e, più in generale, allo studio del territorio pontino tra Ottocento e Novecento. Come preside ma ancor di più come studioso di storia locale vengo coinvolto in questo progetto che porta al’’allestimento di due spettacoli teatrali capaci di riscuotere notevole successo. E’ stata un’esperienza formativa e umana molto intensa che mi ha messo nelle condizioni di essere per i ragazzi una specie di nonno che trasmette oralmente conoscenze e mi ha fatto capire quanti essi abbiano bisogno di riappropriarsi di tale passato che è una bussola indispensabile anche per affrontare il futuro. Secondo il grande “padre della storia”, il greco Erodoto, «Lo storico lavora affinché gli avvenimenti umani non si dissolvano nell’oblio del tempo». Questa espressione significativa è accostabile alla tua ricerca su “Le stórie della Semprevisa”? Con il mio libro ho cercato proprio di sottrarre all’“oblio del tempo” una parte almeno del ricco patrimonio culturale di cui era depositaria la comunità agro-pastorale da cui provengo. Non è molto, ma fra alcuni decenni il libro sarà forse una delle poche testimonianze di un mondo che non esiste più. Mi riconosco, perciò, in pieno nelle affermazioni di Erodoto. Il prof. Rocco Paternostro ha scritto nella Prefazione de “Le stórie della Semprevisa”: «L’oralità, precedentemente alla scrittura, è stato il sistema privilegiato di trasmissione del sapere, comprendendo forme quali narrazioni, miti, canti, leggende, fiabe etc..». Perché queste parole possono essere condivise per il tuo lavoro? Nella comunità rurale in cui sono nato e cresciuto il numero degli analfabeti era superiore a quella degli alfabetizzati. Di conseguenza la trasmissione della cultura avveniva ancora prevalentemente per via orale. Ciò non ha minimamente inciso sul mio corso di studi, anzi in qualche modo lo ha favorito. La memorizzazione di detti, proverbi, filastrocche, fiabe, favole etc… mi ha dato un metodo di studio che ho potuto utilizzare nelle più diverse situazioni. Condivido, pertanto, in pieno le parole dell’amico Paternostro, purtroppo prematuramente scomparso. Quali difficoltà hai incontrato nella raccolta delle storie e dei racconti di vita pubblicati nel libro Le storie della Semprevisa? Non ho incontrato particolari difficoltà perché il mondo che ho descritto lo avevo interiorizzato durante la mia infanzia. Si è trattato solo di ripescarlo dal profondo della memoria e riportarlo alla luce grazie anche all’aiuto di alcune persone che, spesso, anche meglio di me, ne conservano o ne conservavano ricordi limpidi. Tra le tante storie raccolte quale è quella più vicina ai ricordi della tua infanzia,, quale quella che ti ha maggiormente coinvolto e ti ha lasciato particolari sensazioni e ricordi? Credo che la fiaba più vicina ai ricordi della mia infanzia sia Cavallo Rondello per la grande intesa che può nascere nella vita tra l’uomo e un animale elegante e straordinario come il cavallo, capace di dare un aiuto determinante al primo per farlo uscire dalle peggiori difficoltà. Nei Racconti di vita, invece, ho sempre nel mio cuore l’esperienza di un mio zio, fante nella Grande guerra. Egli subì l’onta della ritirata di Caporetto, ma ebbe la fortuna di sopravvivere e di vincere a Vittorio Veneto. E’ vissuto quasi cento anni e fino al termine della sua esistenza ha sempre ricordato con orgoglio quei giorni di ottobre-novembre 1918. I suoi ricordi di guerra finivano sempre con le note della Leggenda del Piave. Ancora oggi tutto ciò mi commuove. Puoi in estrema sintesi elencare i punti salienti degli Atti del Convegno da te curato su «Gli immigrati a Sezze nel 1800»? La bonifica della palude promossa nel 1700 da Pio VI e la messa a coltura delle terre disseccate richiamano nel territorio pontino migliaia di operai, braccianti, allevatori, pastori, commercianti, lavoratori vari, provenienti non solo dallo Stato Pontificio ma anche dal resto d’Italia. Si tratta, in genere, di lavoratori stagionali che rientrano nei loro paesi con l’arrivo dell’estate per sottrarsi alla malaria. Gradualmente, però, molti di essi si stabiliscono con le proprie famiglie nei centri viciniori alla pianura. Nella sola città di Sezze, ad esempio, già nel 1830 se ne contano duemila. Un’immigrazione così significativa produce diversi effetti positivi: Demografici: il numero degli abitanti dei centri suddetti riprende a crescere dopo un periodo di calo demografico. Economici: nella pianura bonificata si produce ricchezza con l’allevamento del bestiame e l’agricoltura. Ambientali: vengono bonificate e coltivate anche vaste aree collinari. Sociali: donne e uomini di diversa provenienza vivono un’esperienza collettiva fatta di sudore e di fatiche, ma anche di racconti, di canti, di balli, di scambi di opinioni in una sorta di piccola Italia prima che si realizzi l’Unità nazionale. Ci sono, però, anche i risvolti negativi come la diffusione del brigantaggio attirato dalla ricchezza prodotta. I briganti provengono quasi sempre dagli stessi centri da cui provengono gli onesti lavoratori. Quali progetti e sogni, di natura culturale ed esistenziale, hai in testa per l’immediato futuro? Al primo posto l’amore per i miei tre nipoti che apprendono con naturalezza tutto ciò di cui parlo con loro. E’ un modo di continuare a trasmettere le conoscenze anche per via orale. Sul fronte culturale la stesura di un romanzo che vuole essere una cavalcata attraverso la seconda metà del Novecento. Dai sogni di una società nuova e felice, alla scoperta del vero, della dura realtà che non si lascia ingabbiare dentro gli schemi artificiali dell’ideologia.
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