Erudizione
Qui e fuori di qui siamo in molti a pensare e a ripetere che la cultura, se vuol essere viva e operosa, qualcosa di meglio dell’inutile e arida erudizione, non deve appartarsi dalle vicende sociali, non deve rinchiudersi nella torre d’avorio senza curarsi delle sofferenze di chi batte alla porta di strada.
Piero Calamandrei
L’erudizione è una forma di conoscenza, di studio laborioso e di possesso solido e sicuro di una quantità di nozioni relative a una o più discipline o materie immagazzinate nella memoria. Significa anche ricerca di notizie rare e preziose. Erudito è la persona istruita, dotta, fornita di sapere enciclopedico, un intellettuale di grande dottrina e di cultura profonda che possiede un vasto bagaglio di cognizioni oppure che conosce a fondo, minuziosamente, argomenti specifici in una determinata disciplina. L’individuo che si dedica al sapere e all’erudizione compie un lavoro diretto di studio meticoloso e di analisi, raccoglie, apprende e conosce un ingente numero di fatti, di dati e di nozioni o ricerca, esamina e studia con cura metodica e diligente testimonianze, avvenimenti, notizie e documenti. Nell’antichità i maggiori filosofi davano un giudizio negativo all’erudizione; si pensi all’avversione di Socrate, Platone e Aristotele per i sofisti (ritenuti sedicenti possessori di sapienza) contrapposti al filosofo-ricercatore che «che sa di non sapere». Nell’età moderna, a causa del carattere ampiamente indifferenziato del sapere, della diffusione delle arti e dell’organizzazione degli studi nell’università, il filosofo è spesso un erudito: basta pensare a Lorenzo Valla, a Marsilio Ficino, a Pico della Mirandola, a Tommaso Campanella e a Comenio. Nel Settecento la distinzione tra filosofi ed eruditi tende a farsi di nuovo assai marcata.
Una severa condanna dell’erudizione, considerata «una specie di sapere riguardo alla cultura» anziché «una vera cultura», viene pronunciata dal filosofo tedesco, Friedrich Nietzsche, nella seconda delle Considerazioni inattuali (Sull’utilità e il danno della storia per la vita) affermando il «l’erudito è immerso nel deserto accumulato delle cose apprese che non agiscono all’esterno, dell’erudizione che non diventa vita». Sull’erudizione nel corso dei secoli si sono avute opinioni diverse, anche divergenti e talvolta contrastanti. Infatti il poeta e scrittore francese Max Jacob, nel dare Consigli a un giovane poeta, ha scritto: «L’erudizione è ben lontana dall’essere un male: allarga il campo dell’esperienza, e l’esperienza degli uomini e delle cose è la base del talento».
Per lo scrittore italiano, Giuseppe Prezzolini, alcuni eruditi sono anche uomini colti, ma per essere colti occorre che le cognizioni si tramutino in arricchimento culturale e spirituale, in vera cultura che non è un accumulo di nozioni, una collezione di informazioni ma, come diceva Antonio Gramsci, è « la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini».
È importante, inoltre considerare ciò che ha scritto anche lo scrittore e critico letterario francese Charles Augustin de Sainte-Beuve: «Voglio, sì, l’erudizione, ma una erudizione governata dal giudizio e organizzata dal gusto».
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