Espressione comunemente usata per indicare, in termini artistici e storico-culturali, il periodo (di discussa determinazione cronologica) sostanzialmente compreso fra il XIV e il XVI sec.
Nel corso di tale periodo alla concezione medievale della realtà (e della sovrarealtà metafisica) e dei rapporti umani viene sostituendosi una nuova visione, “modernamente” empirica e scientifica, dell’uomo e della natura e delle loro reciproche relazioni.

FASI E DIFFUSIONE IN ITALIA
La definizione vasariana di rinascita implica una prospettiva storica e un’estensione cronologica molto più ampie rispetto a quelle convenzionalmente assegnate all’epoca rinascimentale.
Nell’articolazione in tre distinte “età”, dalla fine del XIII sec. alla fine del XVI sec., il Vasari individua le fasi di un costante progresso segnato dalla tensione verso una “perfezione” raggiunta solo nella terza età, cioè dagli artisti attivi a cavallo fra il ‘400 e il ‘500 ed assemblata in modo paradigmatico da Michelangelo, mentre un ruolo decisivo, di precursori, viene rivendicato agli artisti della prima età e in particolare a Giotto e i pittori della “maniera di Giotto”.
Il fattore che più di ogni altro contribuì a determinare la svolta rinascimentale fu, a partire dal 2° e dal 3° decennio del ‘400, la scoperta delle leggi geometriche che regolano la rappresentazione dello spazio, applicate, fra i primi, da Brunelleschi e Masaccio.
Una meticolosa riappropriazione della realtà, a partire dall’osservazione analitica della natura e attraverso l’esatta descrizione di forme animali e vegetali, era già stata empiricamente avviata da pittori e miniatori dell’ultima stagione gotica, ma fu la prospettiva a rappresentare per gli artisti della seconda età, cioè del ‘400, l’effettivo superamento del passato e a divenire lo strumento di un diverso rapporto visivo col mondo reale. Anche lo studio dell’antico, condotto da Brunelleschi e Donatello direttamente a Roma, risponde allo stesso obiettivo che non è inizialmente solo quello di impadronirsi di un repertorio di forme e motivi classici (come sarà poi nella seconda metà del secolo quando si infittiranno la citazione dell’antico col Mantegna a Padova e gli artisti della Firenze laurenziana), ma di risalire attraverso tali modelli a procedimenti di restituzione naturalistica e proporzionale.
La seconda metà del secolo segna l’emergere di altri centri che assumono un ruolo decisivo nel promuovere il rinnovamento, da Padova a Urbino, da Venezia a Roma. I soggiorni urbinati di Piero della Francesca, seguiti da quelli di L. Laurana, di Francesco di Giorgio e degli altri artisti attivi nella costruzione e nella decorazione del Palazzo Ducale, contribuirono a rendere più piccola la corte dei Montefeltro uno dei principali laboratori del nuovo linguaggio artistico, aperto a molteplici apporti, anche fiamminghi, e di decisiva importanza per la formazione di Raffaello e Bramante.
La presenza dal 1443 di Donatello a Padova, preceduta dal soggiorno di Filippo Lippi un decennio prima, aveva invece creato le condizioni per la formazione di A. Mantegna, la cui centralità negli sviluppi del Rinascimento settentrionale si misura dall’influenza esercitata sui fatti artistici veneziani, attraversi gli stretti contatti con Giovanni Bellini, e sulla situazione emiliana e lombarda, soprattutto dopo il trasferimento a Mantova.
La complessità dello scenario italiano fra il ‘400 e il ‘500 va condotta sia alla variabilità delle situazioni culturali, in costante mutamento per la rapida circolazione di opere e di idee, sia alla molteplicità dei centri artistici maggiori e minori, le cui vicende appaiono variamente legate ad autonomie politiche e territoriali, al ruolo di dinastie signorili o di un forte ceto aristocratico e mercantile.
Il ruolo dominante dei centri maggiori come Ferrara però, non può far dimenticare la vitalità di corti minori o centri periferici. E’ il caso di Forlì che, sotto la signoria degli Ordelaffi e dei Riario, espresse una scuola pittorica di cui furono esponenti Melozzo e M. Palmezzano, e di Carpi, che all’inizio del ‘500 sperimentò gli effetti dell’iniziativa artistica e del mecenatismo di Alberto III Pio.
I due decenni del ‘400 vedono maturare un po’ ovunque segnali di rinnovamento e il graduale superamento dei limiti che il Vasari addebitava agli artisti della seconda età. Protagonista di questa fase è il Perugino. La fusione di semplicità e di dolcezza espressiva che egli contrappose allo stile disegnativo e analitico dei fiorentini, incontrò straordinaria fortuna non solo in Umbria e a Firenze, ma anche nelle Marche, in Emilia, in Lombardia e venne assimilata dall’allievo Raffaello.
I rivolgimenti politici che sul volgere del sec. XV portarono alla cacciata dei Medici da Firenze e alla fuga degli Sforza da Milano ebbero decisive conseguenze anche sulle vicende artistiche della penisola. In particolare il trasferimento a Roma di Michelangelo, di Bramante e, circa un decennio più tardi di Raffaello crea un eccezionale congiuntura destinata a porre le condizioni di un profondo rinnovamento.
Mentre Giulio II promuove a Roma le su grandiose imprese, dalla ricostruzione di San Pietro in Vaticano al progetto della propria sepoltura che avrebbe dovuto ergersi al centro di una nuova basilica, dalla decorazione del suo appartamento a quella della volta della Cappella Sistina, anche Firenze attraversa, con la turbinosa fase repubblicana, una stagione di rinnovata vitalità, soprattutto negli anni in cui Michelangelo e Leonardo attendono insieme alla decorazione del Salone dei Cinquecento in Palazzo della Signoria, e ancora in seguito con l’arrivo di Raffaello e la piena maturità di Fra’ Bartolomeo.
Questi decenni, conclusi dalla morte di Raffaello (1520) e, ancora più radicalmente dal trauma del Sacco romano (1527), segnano il punto più alto del rinascimento e la conquista di un ideale classico che nell’armoniosa monumentalità bramantesca, nel supremo equilibrio fra idea e natura raggiunto da Raffaello e nel plasticismo eroico di Michelangelo lascia le sue più compiute espressioni.
Guglielmo Guidi
Ricercatore e storico d’arte


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