Oggi (25 febbraio, n.d.r), nel tardo pomeriggio, il ritrovamenti da parte dei carabinieri. Stefano Cecchi, 68 anni, si è impiccato nel pomeriggio all’interno della sua attività, un’agenzia di viaggi, la Viaggi Kublai di Seano, in provincia di Prato. Il motivo del gesto è all’interno di un biglietto, la situazione economica del settore è fra le cause scatenanti. Da 25 anni gestiva l’attività in via Baccheretana, nel centro di Seano, insieme ad un altro socio. Cecchi era stato presidente della associazione Pro Loco di Poggio a Caiano. Cordoglio anche dal primo cittadino di Carmignano Edoardo Prestanti:
Oggi è un giorno di lutto per tutta Carmignano. Questo pomeriggio un commerciante del comune di Carmignano si è tolto la vita. Abbiamo chiesto a tutti di trattare l’argomento con il rispetto dovuto alla vittima della tragedia e ai suoi familiari. Sono sconvolto da quanto accaduto, ed esprimo il mio cordoglio e la nostra vicinanza ai familiari. Tragedie come queste però, portano con loro la necessità (per tutti) di riflettere su come questo dramma sia conseguenza di una situazione nazionale critica, dove le attuali misure non sono sufficienti a tutelare le categorie di lavoratori maggiormente colpite.
Apprendo di questo fatto di cronaca con estremo turbamento, la cronaca d’altronde è routine, ma a volte raccontare una storia può non bastare. Grazie a News-24.it raccontiamo storie ogni giorno, eppure, talvolta, è necessario riflettere sulla storia che si racconta. Stefano è una vittima del covid, una vittima sana, silenziosa, rimasta in silenzio per un intero anno. Un anno in cui le saracinesche sono rimaste abbassate, specialmente quelle collegate al turismo e alla ristorazione. Perché non tutti sono stati colpiti allo stesso modo, alcuni hanno subito in maniera devastante. Non spetta certo a me o a questa testata valutare se alcune chiusure siano state necessarie più di altre, ma è inoppugnabile che vi sono categorie che più di altre hanno subito un massacro. Giusto o sbagliato? Ai posteri l’ardua sentenza. I ristori tardivi e insufficienti, la frustrazione e la disperazione nel vedere le proprie creature svanire. Perché quando in un’attività c’è una vita di lavoro non è facile e nemmeno giusto rassegnarsi. Quelli come Stefano sono tanti, donne e uomini che hanno voglia e bisogno di lavorare, abbandonate da uno stato che dice di aver fatto tutto il possibile. Allora dobbiamo dirlo, senza mezzi termini, se questo è il possibile non basta, non è sufficiente, lo stato non c’è, non c’è quando Stefano e tanti, troppi, come Stefano arrivano ad un punto di non ritorno. “Curare il covid” vuol dire non solo vaccinare tutta la popolazione, operazione indispensabile e che ci auspichiamo avvenga nel minor tempo possibile. Ma curare il covid è anche aver cura delle ferite che questo ha lasciato e lascerà, solchi profondi ed indelebili che rimarranno nel tessuto economico, serve e servirà curarli, perché Stefano è morto oggi, ma potrebbe morire altre centinaia di volte, se lo permetteremo. Ci stringiamo attorno al dolore di un uomo e di quanti lo conoscevano, che è un dolore condiviso. Il covid uccide in tanti modi, se non ci avevate pensato ecco, anche questo è uno.
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