Ritorna utile e necessario il pensiero del filosofo francese Michel Onfray espresso nel suo ultimo saggio Saggezza – Saper vivere ai piedi di un vulcano (Ed. Ponte delle Grazie, 2020), al fine di effettuare un’analisi relativa all’incarico conferito, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al professore Mario Draghi per la formazione di un governo istituzionale che, dopo la sua composizione tecnico-politica, ha già giurato.
Dato che lo svolgimento di tale incarico si realizza a Roma, in quanto Capitale d’Italia e Caput mundi, viene spontaneo usare alcuni riferimenti della storia antica che riguarda la città eterna. Bisogna tornare molto indietro nel tempo – era la metà del secondo secolo prima di Cristo -, quando giunse a Roma il filosofo Panezio di Rodi, che, abbandonando lo stoicismo antico fondato su una natura umana universale, legò il destino romano a quell’aspetto di stoicismo che tratta l’uomo secondo la sua natura e come misura di tutte le cose riprendendo la concezione del filosofo greco Protagora. Secondo tale idea, l’uomo non è agganciato all’ideale ma alla realtà che vive tutti i giorni, dove «la politica si rivela un’etica. L’uomo di Stato serve lo Stato senza servirsene: ha il senso dell’interesse generale e del bene pubblico; mette la propria vita personale in secondo piano e consacra la propria esistenza a questo compito che lo chiama in tutta la sua interezza».Sotto questa visione, Onfray scrive che «se anche prima o poi il Vesuvio della nostra civiltà dovesse esplodere, possiamo sempre vivere da Romani: in piedi e a testa alta. … per vivere felici e in armonia con gli altri e il mondo, occorre prendere esempio dagli antichi Romani». Un’esortazione,dunque, questa del filosofo francese a conoscere la storia romana repubblicana attraverso cui scoprire il Romano che è in ciascuno di noi per prenderci cura di noi, della comunità e della natura, e che per vivere non guarda il cielo, ma si protegge con l’amore soprattutto quando la tempesta è imminente.
Ebbene, Panezio trovò terreno fertile nella Repubblica romana che, sorta nel 509 a.C. dopo il lungo regno dovuto al susseguirsi dei sette re, perdurò circa cinque secoli grazie al modo di essere dei Romani, come ebbe a scrivere, nella sua Naturalis historia, Plinio il Vecchio (23 – 79 dopo Cristo): Essere dio è, per un mortale aiutare un mortale: ecco la via verso la gloria eterna. Su di essa hanno proceduto i più grandi Romani. … Questo è l’antichissimo uso per render grazie ai benefattori: iscriverli nel novero delle divinità.
Nella storia romana repubblicana ci sono molti esempi di uomini che, come sostiene Plinio il Vecchio, si sono comportati da dèi dando lustro all’essere «un romano, un uomo che pratica la giustizia, la buona educazione e la grandezza d’animo».
Tra questi c’è stato Gaio Muzio, detto Scevola (o mancino), il quale – racconta Plutarco nella Vita di Publicola – «romano dotato di ogni virtù, specialmente di quelle necessarie alla guerra, stese la mano destra sul braciere acceso per i sacrifici, immobile mentre la carne bruciava, con gli occhi puntati su Porsenna e un’espressione sprezzante».
C’è stato anche Marco Attilio Regolo che, dallo storico Sesto Aurelio Vittore, nel De viris illustribus, è legittimato ad essere un grande esempio di coerenza e di coraggio, il cui comportamento ha dato il vero e profondo significato alla fede, alla fides – la fedeltà al giuramento -, perché chi ha vera fede agisce secondo la promessa fatta.
Un altro dei grandi Romani che ha manifestato il modo di vivere stoico fu il patrizio Lucio Quinzio, detto Cincinnato per i suoi capelli ricci. Era il 458 a.C. quando l’esercito degli Equi era in procinto di invadere Roma. Il Senato decise – racconta Tito Livio nell’Ab urbe condita libri – di nominare dittatore con pieni poteri, Cincinnato, già sessantenne, a cui giunse la nomina mentre stava arando il suo podere. Senza batter ciglio Lucio Quinzio indossò la toga, accettò la nomina e prese il comando dell’esercito. Quando egli giunse a Roma, «accorse la moltitudine della plebe, che però non era per niente contenta di vedere Cincinnato non solo perché riteneva esagerato il potere che gli era stato conferito ma anche perché, con tale potere, egli costituiva per loro una grande minaccia». Cincinnato, tuttavia, il giorno dopo radunò l’esercito, sconfisse in brevissimo tempo gli Equi e tornò a Roma in trionfo. Pur essendo la sua carica di dittatore valida per sei mesi, dopo la celebrazione della vittoria, rinunciò in grande anticipo all’incarico e ritornò a coltivare la sua terra. Tale rinuncia dimostrò il suo profondo senso civico, la sua onestà intellettuale e la sua determinata fides, con cui diede una risposta indubbia ai dietrologi oppositori.
Il professore Mario Draghi potrà essere per l’italia un nuovo Cincinnato?
Francesco Giuliano
News-24.it è una testata giornalistica indipendente che non riceve alcun finanziamento pubblico. Se ti piace il nostro lavoro e vuoi aiutarci nella nostra missione puoi offrici un caffè facendo una donazione, te ne saremo estremamente grati.