LATINA- Il fine settimana è rosso. Dunque, avremo più tempo per leggere. Consiglio l’ultimo libro di Paolo Franchi, storico editorialista del Corriere della Sera e grande narratore della sinistra politica, “ Il PCI e l’eredità di Turati”, edito dalla Nave di Teseo.
Franchi, complice il centenario della nascita del PdcI, è come se rivivesse da spettatore, in una poltroncina del teatro livornese Goldoni, il grande scontro del XVII Congresso del Partito Socialista Italiano. Il cui esito, per i militanti, gli addetti ai lavori ed i protagonisti stessi, è già segnato: gli scissionisti hanno già prenotato il vicino teatro San Marco.
Semmai la contesa verte sulla forma attraverso cui abbandonare Filippo Turati, padre nobile del riformismo italiano al suo destino: Bordiga e Bombacci sono per le maniere spicce, mentre Serrati eviterebbe strappi traumatici. Lui, il “più destro dei destri”, come ironicamente si autodefinisce, fulmina i delegati con quella che egli stesso definirà “una profezia da barbanera”. Val la pena di citarne alcuni passaggi, tenendo presente che siamo nel gennaio del 1921: “E quando il bolscevismo attuale o avrà fatto fallimento o sarà trasformato dalla forza delle cose, la nostra vittoria verrà (…).
Se volete fare qualcosa che sia rivoluzionaria davvero, che rimanga come elemento di civiltà nuova, sarete forzati a vostro dispetto, ma dopo ci verrete, perché siete onesti, con convinzione, a percorrere la nostra via, a percorrere la via dei socialtraditori”.
Il tema, a sinistra, è sempre lo stesso: la lotta per l’egemonia della purezza. Per entrare nel Comintern, infatti, la Terza Internazionale stila 21 punti di cui il settimo è un attacco frontale e definitivo ai riformisti: “L’Internazionale non può approvare che famosi opportunisti quali Turati (…) possano vantare il diritto di apparire (suoi) membri”. Non già esservi, a Turati ed ai suoi compagni è inibito persino apparire vicini alla Terza Internazionale.
Nel 1926 il clima, con le Tesi di Lione, si fa ancora più aspro: “La Socialdemocrazia non è l’ala destra del proletariato, ma l’ala sinistra della borghesia”. A rincarare la dose ci pensa Giuseppe Stalin, capo indiscusso della dittatura sovietica: ” La Socialdemocrazia è l’ala moderata del fascismo, il suo fratello gemello”.
Tuttavia, i comunisti faranno presto esperienza di quanto vera fosse la profezia del “barbanera”, di quel Filippo Turati che pensò ai comunisti come il figliol prodigo che, presto o tardi, farà ritorno alla casa del Padre.
29 Dicembre 1945, V Congresso del Pci. Palmiro Togliatti, ” il Migliore”, teorizza un partito di massa “nella democrazia e nella pace”. Consegnandosi alla poetica oraziana definirà il partito un puer robustus ac malitiosus. Naturalmente Togliatti edificò un comunismo dalla parte della democrazia e della pace, mettendo in soffitta l’ideale rivoluzionario. Nell’azione quotidiana, la profezia turatiana s’è già avverata. Formalmente, soltanto il pensarlo sarebbe una eresia. Anzi, una bestemmia per la “chiesa” comunista. Ci penserà il “destino cinico e baro”, per dirla con Saragat, a complicare non poco le cose.
Nel 1956 a Budapest i carri armati sovietici dimostrano al mondo ed anche ai comunisti italiani che quella democrazia e quella pace di cui parlava Togliatti in Russia siano concetti relativi. Antonio Giolitti, Italo Calvino ed altri intellettuali abbandoneranno il partito. Scriveranno il “Manifesto dei 101”, un numero tetro e ricorrente nella storia della sinistra. Ha scritto Veltroni sul Corriere della Sera: “ Se il Pci (…) avesse avuto il coraggio di rompere con il suo campo ideologico, si sarebbero create le condizioni, con Nenni, per la nascita del grande partito del socialismo liberale che l’Italia non ha mai avuto”.
Un altro terreno, direi fondamentale, nel quale la politica di Filippo Turati e del riformismo si rivelerà vincente ed egemone, sarà quello dell’incontro fra le forze socialiste e quelle cattoliche. Nel 1924 Turati si fa intervistare dal “Popolo”, il quotidiano fondato da Sturzo e diretto da Donati. Disse: ” Tra socialisti e popolari vi sarà un terreno comune non soltanto di difesa dal fascismo ma si azione costruttiva, e dunque un cammino da fare insieme senza perdere né le nostre caratteristiche fisionomiche né le nostre particolari impronte digitali”. Non solo quindi resistere insieme, socialisti e cattolici, all’abominio del fascismo ma creare le condizioni per il dopo. Costruire, quindi, la Democrazia. Programma avveratosi con la Costituente, la cui presidenza andrà al comunista Terracini il quale, nel 1982, ebbe il coraggio di ammettere: ” A Livorno aveva ragione Turati”.
Che avesse ragione Turati, praticamente, lo dichiararono le azioni sia di Togliatti che di Enrico Berlinguer. A proposito dell’incontro con i cattolici, il Migliore nel 1963 disse al Teatro Duse: ” L’aspirazione ad una società comunista non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa”.
Celeberrimo l’ultimo dei tre articoli apparsi su “Rinascita”, raccolti dal titolo ” Riflessioni sui fatti del Cile”. Nel 1973, infatti, Berlinguer – complice anche il sodalizio con Franco Rodano – lancia l’idea del compromesso storico: ” il nuovo, grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano”.
Insomma, la “Socialdemocrazia popolare” che aveva in testa Filippo Turati fu croce e delizia per la sinistra italiana: motivo principale della scissione di Livorno ma, obtorto collo, sentiero obbligato da praticare a bocca chiusa.
Le conclusioni a cui giunge Paolo Franchi, che ha attraversato da protagonista (per averli raccontati su un grande quotidiano come il Corriere per decenni) le alterne vicende della sinistra italiana, è che il tentativo del comunisti italiani – di Togliatti, come di Berlinguer – di praticare una terza via tra l’Urss e la socialdemocrazia s’è rivelata praticamente impossibile da realizzare.
Come scrisse lapidariamente Norberto Bobbio: “Tertium non datur”.
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