Il Padre Nostro

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Il Padre nostro. Non sprecate parole                           di Carlo Maria Martini

É impossibile pregare il Padre nostro prestando attenzione a ogni parola senza che nell’anima si produca un cambiamento magari infinitesimale, ma concreto.          Simone Weil

Molti teologi, studiosi di storia delle religioni e uomini di chiesa hanno nel tempo disquisito sulla preghiera più conosciuta insegnata da Gesù ai suoi discepoli itineranti, in missione. Anche il compianto cardinale Carlo Maria Martini nel saggio, Il Padre Nostro. Non sprecate parole (San Paolo editore), ha proposto, in un corso di esercizi spirituali, alcune riflessioni sulla preghiera che molti conoscono a memoria fin dall’infanzia e che rappresenta secondo Tertulliano la «sintesi di tutto il Vangelo».

La preghiera del Padre nostro nella sua brevità e semplicità si contraddistingue per la sobrietà delle parole, per la fiducia filiale, per la tenerezza e l’affetto che si coglie tra Padre e Figlio; è un testo misterioso, polivalente, emblematico di cui spesso non si riesce a cogliere nelle sfumature tutta la ricchezza. L’intento dichiarato dall’autore, nell’Introduzione, è il desiderio di «penetrare nel cuore, nello spirito della preghiera insegnataci da Gesù», che è preziosa, breve e densa di molti significati. Nel Pater noster Gesù ha messo tutto il suo cuore per far conoscere il Padre invisibile e tutto ciò che è importante.                                                                                          Il  Padre nostro è riportato nei vangeli di Luca (11) e di Matteo (6). Nel Vangelo lucano la richiesta di pregare è avanzata da uno dei discepoli, dopo aver constato che, in diverse circostanze, Gesù si appartava per pregare. In Matteo il Pater noster s’inserisce all’interno del Discorso della montagna e Gesù raccomanda di pregare in segreto e in silenzio, senza ipocrisia e senza sprecare parole, perché il Padre sa già ciò che ognuno ha bisogno prima che gli venga chiesto. Imparare a pregare in raccoglimento e nella concentrazione vuol dire affidarsi a Dio, a perseverare, a nascondersi e usare parole essenziali.                                                                                                                   Il  mistero del Padre nostro non è esposto esegeticamente ma per tappe che aiutano a comprendere cosa significa seguire Gesù in modo da compiere delle scelte secondo il Vangelo. Nella prima parte della preghiera, seguendo gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, Martini si sofferma sul principio e fondamento della quotidianità della vita cristiana espressa nelle ultime quattro domande.                                                                      Nell’invocazione Padre nostro che sei nei cieli l’autore spiega che il Padre è colui che dà la vita biologica, che protegge, nelle cui braccia ci si ripara; è il Padre di Gesù Cristo figlio amatissimo, che ci nutre, educa, sostiene, rigenera, conforta, purifica, perdona e ci coinvolge nel compiere la sua volontà. Questa paternità ci viene donata nel battesimo.

Ma all’appellativo “Padre” è aggiunto “nostro” per sottolineare che è una preghiera collettiva, comune, recitata insieme nella comunità e che abbraccia tutti, e l’espressione che sei nei cieli sta a significare che il Padre vive nel mondo della trascendenza, delle cose che non passano mai. Dalla prima domanda scaturiscono dei suggerimenti che riguardano l’abbandono e la fiducia nel Padre che ha cura degli uomini e l’affidamento a lui di tutte le persone che si amano.

L’autore, nel meditare sull’invocazione Padre, sia santificato il tuo nome, mette in risalto i vari atteggiamenti suggeriti da questa espressione che predispone a riconoscere la grandezza e la potenza, l’infinità e la trascendenza, la bontà e l’interesse per l’uomo di Dio Padre, che dovrà essere glorificato, lodato, esaltato, riconosciuto incomparabile nell’attuazione del suo disegno di amore verso l’uomo e di salvezza verso il suo popolo. Dinanzi a questa invocazione radicale e metafisica occorre assumere un atteggiamento di ringraziamento per i doni ricevuti e di lode e di grazia per quello che Dio ha fatto.

Nel procedere della lectio Martini, invertendo l’ordine delle invocazioni, si sofferma sulla domanda nodale, Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e mette in risalto la necessità di chiedere perdono per i nostri peccati, i nostri errori e le nostre trasgressioni verso Dio e la Legge.  E questo perdono, ricevuto da Dio, richiede che l’uomo perdoni gli altri e si riconcili con l’altro e quindi un perdonarsi a vicenda.

Nella meditazione Non ci indurre in tentazione l’autore mostra la sua ricchezza interiore, la profondità del suo pensiero, l’acume della sua sensibilità nel cogliere e tener conto dei peccati formali, del disordine e della vanità dell’agire quotidiano. Le tentazioni, che sono parte importante della vita e dell’esperienza di tutti i giorni, riguardano la seduzione di essere attratti verso il male, la contraddizione che richiede pazienza, perseveranza e umiltà, l’illusione frequente che induce a compiere opere sbagliate, il silenzio di Dio che porta a pensare che Dio si nasconda, taccia, non intervenga come nella Shoà, e l’insignificanza di Gesù che spinge ad allontanarsi dalle pratiche religiose.

L’autore, proseguendo nella lectio, invita a riflettere anche sulla settima invocazione Liberaci dal male, strappaci dalla malvagità che seduce e dalla cattiva coscienza che rende inquieti e custodiscici dal Maligno che rattrista, spaventa e cavalca le nostre debolezze. Per le nostre fragilità e i nostri errori siamo immersi nel mistero del male che è assurdo e forse per comprenderlo occorre contemplare la croce, il Crocifisso che ha superato e vinto tutte le malvagità umane.                                                                                      Per il cardinale Martini la domanda centrale della preghiera è Venga il tuo regno che lascia adito a diverse interpretazioni. Innanzitutto il regno di Dio, fatto di libertà, di spontaneità e di mitezza, è il centro dell’annuncio di Gesù, ed è espresso con parabole e metafore, allusioni e immagini senza mai darne una definizione. La grandezza del regno non è affidata a un esercito potente, alla forza delle armi, al potere economico, politico e intellettuale, ma a un modo di vivere basato sull’amore, sulla giustizia misericordiosa, sul perdono, sul dono di sé, sulla pace, sull’umiltà e sul disprezzo dei privilegi.

Altra invocazione su cui l’autore invita riflettere è Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra che completa la precedente Venga il tuo regno che si realizza concretamente nel compimento della volontà di Dio. Questa volontà divina può essere trascendentale e categoriale: la prima abbraccia tutto, penetra in tutte le vicende della storia, la seconda più concreta riguarda la salvezza degli uomini attraverso i comandamenti.

L’ultima invocazione, presa in esame dall’autore, è una richiesta più piccola e modesta, quella che ci tocca più immediatamente, Dacci oggi il nostro pane quotidiano, il cibo necessario per vivere. In questa domanda, da parte dell’uomo, che si sente fragile e precario, si fa riferimento al pane materiale di ogni giorno, al pane eterno dell’amore e suscita l’attenzione ai poveri, la solidarietà per i popoli che soffrono la fame.             

Ancora una volta con questa ennesima pubblicazione il cardinale Martini dimostra la capacità di assolvere, ad alto livello, alla funzione di pastore, di profondo conoscitore e interprete della Sacra Scrittura, di raffinato biblista e teologo sempre al servizio dell’altro.  

È possibile concludere queste riflessioni con le parole della filosofa, mistica e scrittrice francese citata in esergo, Simone Weil «Il Padre nostro, a differenza di tutte le orazioni, parte non dal basso dell’uomo che invoca ma dall’alto di un Dio che si rivela».

 

 

 


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